CASSAZIONE

Srl a ristretta base: il socio può contestare la rettifica

Tributi – Irpef – Accertamento – Società di capitali a ristretta base sociale – Assenza di utili extracontabili – Conseguenze – Avviso – Impugnazione dell’atto emesso a suo carico – Facoltà

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 21356 del 6 luglio 2022, occupandosi delle procedure di accertamento nei confronti di una società a ristretta base societaria, ha ammesso la possibilità da parte del socio di una Srl a ristretta base fallita ma che non ha ricevuto l’atto di accertamento, di impugnare l’atto emesso a suo carico e di contestare tutti i fatti costitutivi dell’obbligazione, senza che rilevi l’eventuale giudicato formatosi verso la società.

In altre parole, il socio di una società di capitali a ristretta base che non ha ricevuto l’avviso di accertamento della società avrà facoltà di contestare tutti i fatti costitutivi dell’obbligazione tributaria, senza alcuna limitazione, non essendo a lui opponibili gli esiti di un processo al quale non ha preso parte e di confutare, nella rettifica che lo riguarda, anche il quantum della rettifica fatta a quest’ultima, senza che rilevi l’eventuale giudicato formatosi nei riguardi dell’ente partecipato.

E’ forse utile premettere che di solito viene definita società a ristretta base azionaria quella la cui compagine è costituita da un numero limitato di soci, frequentemente legati tra loro da rapporti di parentela e/o affinità. Anche ai fini tributari sussiste una netta separazione tra la società di capitali e i soci, sicché l’imputazione degli utili si realizza attraverso una formale deliberazione dell’assemblea che ne fissa anche i limiti. Nel corso degli anni, tuttavia, quando si è imbattuta in una Srl a ristretta compagine sociale e ha inteso recuperare utili extra-bilancio non dichiarati, l’Agenzia delle entrate ha emesso accertamenti anche nei confronti dei soci, presumendo che tali utili occulti fossero loro distribuiti. In sostanza, avviso di accertamento alla società e – ahimè – avvisi di accertamento “personali” anche ai singoli soci.

Gli uffici finanziari sono approdati a una sorta di equiparazione tra le società di persone (Snc e Sas) e le società di capitali a ristretta base partecipativa, ritenendo che anche per queste ultime fosse automatico assoggettare a tassazione i maggiori redditi accertati nei confronti della società, direttamente in capo ai soci con partecipazione qualificata. La ridotta compagine sociale, quindi, diventa una sorta di “vantaggio”per le Entrate, che può presumere la distribuzione di utili in capo ai soci, recuperare le imposte da questi non versate (unitamente a sanzioni e interessi) e ribaltare su di loro l’onere di dimostrare il contrario, ovviamente in giudizio.

La Cassazione ha sovente confermato tale impostazione, precisando che il presupposto in base al quale sia legittimo presumere che vengano distribuiti ai soci gli utili “in nero”, accertati alla società di capitali a ristretta base azionaria, sia ravvisabile proprio nell’esiguità del numero dei compartecipi nel vincolo di solidarietà tra loro, nella possibilità che ciascuno ha di conoscere gli affari societari e nel reciproco controllo.

Alcune recenti pronunce della Suprema Corte offrono però alcuni spunti critici di riflessione in tema di tassazione in capo al socio degli utili extra-contabili accertati in capo a una società a ristretta base partecipativa (v. Cass. n. 2224/2021, n. 15895/2020, n. 3980/2020). Se la presunzione di matrice giurisprudenziale è nota, anche nel caso della società a ristretta base partecipativa è legittima la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extra-contabili accertati in capo alla società, rimanendo salva la facoltà del socio di provare che i maggiori utili non siano stati distribuiti, bensì accantonati dalla medesima società o da questa reinvestiti. Tale regola, di matrice esclusivamente giurisprudenziale, viene definita “presunzione di distribuzione” e rientra nella categoria delle presunzioni semplici ex art. 2729 c.c. e si fonda sull’assunto per cui il ristretto numero di soci e i legami qualificati tra loro determinano una maggiore conoscibilità degli affari societari o, comunque, dell’onere del socio di conoscere tali affari.

La giurisprudenza sul punto si è così consolidata da anni, anche se di recente la Cassazione (v. sentenze nn. 6626/2019, 3980/2020 e 2224/21) ha ampliato tale dibattuta presunzione di distribuzione, ritenendola applicabile anche in ipotesi di costi non deducibili per le più svariate ragioni (non inerenti, non di competenza, ecc.). È evidente, infatti, che in presenza di costi indeducibili la prova che le somme in questione abbiano avuto destinazione differente rispetto alla percezione dei soci è in atti, esse sono state utilizzate proprio per l’acquisizione di quella spesa ritenuta (per le più svariate ragioni) indeducibile ma esistente.

In altre parole, in questi casi le somme non possono essere state distribuite ai soci per la semplice ragione che sono state impiegate dalla società per l’acquisizione del bene o servizio, quantunque indeducibile. La Corte, infatti, rilevava con la sentenza n. 3980/2020che “… se è vero che il giudicato nei confronti della società di capitali a ristretta base partecipativa – e concernente l’avviso di accertamento con cui si procede alla contestazione di redditi non dichiarati – ha effetto riflesso nel giudizio concernente l’impugnazione proposta dal socio avverso l’avviso di accertamento a lui notificato ai fini della rettifica del reddito da partecipazione è altrettanto vero che, nel caso in cui l’avviso di accertamento non sia stato correttamente notificato al legale rappresentante della società, il socio (che normalmente non può dolersi dell’accertamento effettuato nei confronti della società riproponendo doglianze ad esso riferibili: ben potrà fare valere le proprie ragioni in sede di impugnazione avverso l’avviso di accertamento che lo riguarda”.

La S.C., con il recente arresto n. 25501/2020, ha esteso ulteriormente l’utilizzo della presunzione di distribuzione ai soci di utili non contabilizzati, ed è giunta ad ammetterla, oltre che in seguito al recupero di costi inesistenti, anche in quello dei costi ritenuti indeducibili. Nel caso trattato allora dagli Ermellini, una società di capitali a limitata compagine sociale, oggetto di accertamento per il recupero di un costo ritenuto fiscalmente indeducibile, si era difesa evidenziando come quella spesa, effettivamente sostenuta, non avesse comportato alcuna provvista finanziaria distribuibile. La società aveva inoltre contestato che, nel caso di rettifica derivante dal mancato riconoscimento della deducibilità di costi realmente sostenuti, non potesse operare la presunzione di distribuzione di utili “in nero” ai soci, poiché nessun utile poteva ragionevolmente ritenersi prodotto.

La Corte è però giunta a conclusioni diametralmente opposte, ritenendo i costi fiscalmente non deducibili, per loro natura, “costi neutrali” ai fini fiscali: di tali costi, in sostanza, ha ritenuto non doversi tenere conto ai fini della determinazione della base imponibile, comunque alterata dai costi erroneamente ritenuti deducibili, con conseguente inevitabile ricaduta sulla quantificazione delle imposte dovute. Secondo gli Ermellini, in definitiva, anche in presenza di costi indeducibili potrà ritenersi legittimo l’accertamento nei confronti del socio di società di capitali a ristretta base partecipativa, con il quale l’Amministrazione finanziaria recupera, pro-quota, il maggior reddito derivante dalla rettifica in capo alla società.

Ciò chiarito, viene anche posto in evidenza che nella concreta fattispecie tale condivisibile orientamento incontra il limite della persistente posizione di socio partecipante alla ristretta compagine sociale, e dunque al facile accesso alla conoscenza e, comunque, alla conoscibilità degli atti che attingono la società.  Per esempio, con la recente ordinanza n. 4239/2022, in un caso analogo  di socio di una piccola società receduto,  gli Ermellini hanno ritenuto che se è indiscutibile che astrattamente può rispondere anch’egli della presunta distribuzione degli utili extracontabili accertati in via definitiva in capo alla società, è tutt’altro che scontato che, ceduta la propria partecipazione sociale e uscito da quella compagine sociale, egli sia stato ancora in condizione di accedere alla documentazione societaria e, prima ancora, che abbia potuto conoscere l’attività di verifica cui la società stessa è stata sottoposta.

Per conseguenza ci si deve chiedere se quella giurisprudenza di legittimità, afferente il socio della società a ristretta base partecipativa, possa adagiarsi anche all’ipotesi del socio già receduto dalla società; oppure, al contrario, se la prescrizione degli artt. 7 della legge 212/2000 e 42 del DPR 600/1973, possa trovare piena applicazione, con l’effetto della nullità dell’avviso di accertamento indirizzato al socio receduto motivato mediante rinvio all’atto impositivo precedentemente notificato alla società, senza allegazione o riproduzione dei suoi contenuti essenziali nell’atto impositivo che attinge il socio.

La S.C. ha ritenuto nel tempo corretta questa seconda interpretazione.

Se, infatti, è giusta l’interpretazione che riconosce in capo al socio la conoscibilità degli atti indirizzati alla società, anche per la peculiare ristrettezza della compagine sociale, non può certo affermarsi che il socio non destinatario dell’avviso abbia accesso agli atti e alla documentazione sociale, così come prevedono l’art. 2261 e l’art. 2320 cod. civ., per le società di persone, oppure l’art. 2476, secondo comma, cod. civ., per le società a responsabilità limitata.

Ci si troverebbe, in altri termini, di fronte a un soggetto che, non ricevuta notificazione di un avviso d’accertamento con il quale gli si ridetermina il reddito da partecipazione in una società di cui non ha contezza, deve apprestare nei successivi sessanta giorni la propria difesa (o anche solo valutare se ciò convenga), senza alcuna garanzia di accesso alla documentazione notificata alla società, cui per relationem fa rinvio l’atto impositivo ricevuto.

Posizione più chiara, invece, quella che attiene a un socio receduto, cioè che è intervenuto tra il periodo accertato e il momento della notifica dell’atto impositivo,  in cui viene enunciato il seguente principio di diritto: “… in tema di accertamento nei confronti del socio di società a ristretta partecipazione sociale, ove tra l’anno d’imposta sottoposto ad accertamento ed il momento della notificazione alla società dell’atto impositivo il socio sia receduto dalla compagine sociale, è nullo l’avviso di accertamento a lui notificato per i maggiori redditi di capitale presuntivamente distribuiti, quando esso, rinviando per relationem alla motivazione dell’avviso di accertamento indirizzato alla società, manchi dell’allegazione della documentazione citata o della riproduzione dei suoi contenuti essenziali” (Ord. n. 4239/2022).In questo caso, dunque, la Corte di Cassazione ha sancito l’illegittimità di un accertamento notificato al socio receduto dalla S.r.l. a ristretta compagine sociale, motivato per relationem con altro atto impositivo notificato soltanto alla società: non essendo più in corso il vincolo sociale, il contribuente non avrebbe avuto accesso alle informazioni relative all’ente e alle contestazioni mosse a questo dall’ufficio.

Tanto in premessa, e tornando al caso in questione, la parte contribuente proponeva ricorso avverso un avviso di accertamento relativo a un recupero ai fini IRPEF del reddito da capitale costituito dagli utili derivanti dalla partecipazione del contribuente nella misura del 40% del capitale.

La giustizia tributaria ha ritenuto che l’esistenza del giudicato nei confronti della società, formatosi senza che al relativo procedimento partecipasse il socio, determinasse una situazione in cui quest’ultimo non potesse avanzare contestazioni all’avviso di accertamento emesso nei suoi confronti e, in definitiva, ne ha respinto l’appello.

La parte contribuente proponeva ricorso per cassazione, affidato a un unico motivo di impugnazione nel quale si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ. in quanto, come affermato da Cassazione, n. 6626/2019, l’avviso di accertamento emesso nei confronti della società e non notificato al socio non è opponibile a quest’ultimo, il quale può contestare tutti i fatti costitutivi dell’obbligazione tributaria senza alcuna limitazione, non essendo a lui opponibili gli esiti di un processo al quale non ha preso parte.

La Corte ha riconosciuto le ragioni espresse dalla parte contribuente, statuendo che “…Con l’unico motivo di impugnazione la parte contribuente, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ., in quanto, come affermato da Cass. n. 6626 del 2019, l’avviso di accertamento emesso nei confronti della società e non notificato al socio non è opponibile a quest’ultimo, il quale può contestare tutti i fatti costitutivi dell’obbligazione tributaria, senza alcuna limitazione, non essendo a lui opponibili gli esiti di un processo al quale non ha preso parte. Il motivo di impugnazione è fondato in quanto, secondo questa Corte: in tema di società di capitali a ristretta base societaria, l’avviso di accertamento, se inerente a crediti i cui presupposti siano sorti prima della dichiarazione di fallimento (o nel periodo di imposta nel quale tale dichiarazione è intervenuta), deve essere notificato non solo al curatore ma anche ai singoli soci, i quali, in quanto percettori di reddito da capitale sono soggetti passivi del rapporto tributario ed hanno quindi la possibilità, anche dopo il fallimento della società, di impugnare l’atto impositivo emesso nei propri confronti (Cass. 6626 del 2019); «se è vero che il giudicato nei confronti della società di capitali a ristretta base partecipativa – e concernente l’avviso di accertamento con cui si procede alla contestazione di redditi non dichiarati – ha effetto riflesso nel giudizio concernente l’impugnazione proposta dal socio avverso l’avviso di accertamento a lui notificato ai fini della rettifica del reddito da partecipazione (Cass. n. 13989 del 23/05/2019; Cass. 23899 del 24/11/2015), è altrettanto vero che, nel caso in cui l’avviso di accertamento non sia stato correttamente notificato al legale rappresentante della società, il socio (che normalmente non può dolersi dell’accertamento effettuato nei confronti della società riproponendo doglianze ad esso riferibili: Cass. n. 3980 del 18/02/2020) ben potrà fare valere le proprie ragioni in sede di impugnazione avverso l’avviso di accertamento che lo riguarda; invero, l’avviso di accertamento emesso nei confronti della società e non notificato non è opponibile al socio e tale inopponibilità si traduce nella possibilità, per il socio stesso, di contestare la sussistenza di tutti i fatti costitutivi dell’obbligazione tributaria (così sostanzialmente Cass.n. 6626 del 07/03/2019), anche al di là di quanto normalmente consentito dalla giurisprudenza della S. C. (per la quale il socio può unicamente eccepire che i maggiori ricavi non sono stati distribuiti, ma accantonati o reinvestiti dalla società, nonché dimostrare la propria estraneità alla gestione e conduzione societaria: ex multis, Cass. n. 18042 del 09/07/2018);» (Cass.n. 18200 del 2021). La sentenza impugnata non si è attenuta ai suddetti principi laddove – affermando che la definitività dell’accertamento nei confronti della società costituisce un punto fermo che non può essere ignorato né rimesso in discussione e la mancata partecipazione a quel processo deve intendersi come fisiologica stante la posizione giuridica dello stesso in quel momento (al momento dell’accertamento presso la società il contribuente non era più socio) e quanto all’omessa allegazione del processo verbale di contestazione nell’avviso di accertamento notificatogli, quest’ultimo riferisce tutte le notizie rilevanti per il contribuente, senza necessità di dare conto di ogni notizia relativa all’accertamento nei confronti della società di cui lo stesso non faceva parte da tempo, infine, data la definitività del giudicato nei confronti della società, tali lagnanze non possono essere prese in considerazione – ha erroneamente ritenuto che l’esistenza del giudicato nei confronti della società formatosi senza che al relativo procedimento partecipasse il socio determinasse una situazione in cui quest’ultimo non potesse avanzare contestazioni all’avviso di accertamento emesso nei suoi confronti. Pertanto, ritenuto fondato il motivo di impugnazione, il ricorso della parte contribuente va conseguentemente accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale del Veneto, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio”.

Corte di Cassazione – Ordinanza 6 luglio 2022, n. 21356

sul ricorso 1196-2021 proposto da:

B. M. E., elettivamente domiciliato in ROMA, P.LE CLODIO, 14, presso lo studio dell’avvocato ANDREA GRAZIANI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato SIMONE VERONESE;

– ricorrente –

contro AGENZIA DELLE ENTRATE 06363391001, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 258/8/2020 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DEL VENETO, depositata il 07/07/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata dell’ 11/05/2022 dal Consigliere Relatore Dott. LORENZO DELLI PRISCOLI.

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

la parte contribuente proponeva ricorso avverso un avviso di accertamento relativo ad un recupero ai fini IRPEF del reddito da capitale – per l’anno d’imposta 2012 – costituito dagli utili derivanti dalla partecipazione del contribuente nella misura del 40% del capitale della N. C. s.r.l.;

la Commissione Tributaria Provinciale respingeva il ricorso della parte contribuente e la Commissione Tributaria Regionale ne respingeva l’appello affermando che:

la definitività dell’accertamento nei confronti della società costituisce un punto fermo che non può essere ignorato né rimesso in discussione e la mancata partecipazione a quel processo deve intendersi come fisiologica stante la posizione giuridica dello stesso in quel momento (al momento dell’accertamento presso la società il contribuente non era più socio);

quanto all’omessa allegazione del processo verbale di contestazione nell’avviso di accertamento notificatogli, quest’ultimo riferisce tutte le notizie rilevanti per il contribuente, senza necessità di dare conto di ogni notizia relativa all’accertamento nei confronti della società di cui lo stesso non faceva parte da tempo; infine, data la definitività del giudicato nei confronti della società, tali lagnanze non possono essere prese in considerazione;

la parte contribuente proponeva ricorso affidato ad un unico motivo di impugnazione mentre l’Agenzia delle entrate si costituiva con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo di impugnazione la parte contribuente, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ., in quanto, come affermato da Cass. n. 6626 del 2019, l’avviso di accertamento emesso nei confronti della società e non notificato al socio non è opponibile a quest’ultimo, il quale può contestare tutti i fatti costitutivi dell’obbligazione tributaria, senza alcuna limitazione, non essendo a lui opponibili gli esiti di un processo al quale non ha preso parte. Il motivo di impugnazione è fondato in quanto, secondo questa Corte: in tema di società di capitali a ristretta base societaria, l’avviso di accertamento, se inerente a crediti i cui presupposti siano sorti prima della dichiarazione di fallimento (o nel periodo di imposta nel quale tale dichiarazione è intervenuta), deve essere notificato non solo al curatore ma anche ai singoli soci, i quali, in quanto percettori di reddito da capitale sono soggetti passivi del rapporto tributario ed hanno quindi la possibilità, anche dopo il fallimento della società, di impugnare l’atto impositivo emesso nei propri confronti (Cass. 6626 del 2019); «se è vero che il giudicato nei confronti della società di capitali a ristretta base partecipativa – e concernente l’avviso di accertamento con cui si procede alla contestazione di redditi non dichiarati – ha effetto riflesso nel giudizio concernente l’impugnazione proposta dal socio avverso l’avviso di accertamento a lui notificato ai fini della rettifica del reddito da partecipazione (Cass. n. 13989 del 23/05/2019; Cass. 23899 del 24/11/2015), è altrettanto vero che, nel caso in cui l’avviso di accertamento non sia stato correttamente notificato al legale rappresentante della società, il socio (che normalmente non può dolersi dell’accertamento effettuato nei confronti della società riproponendo doglianze ad esso riferibili: Cass. n. 3980 del 18/02/2020) ben potrà fare valere le proprie ragioni in sede di impugnazione avverso l’avviso di accertamento che lo riguarda; invero, l’avviso di accertamento emesso nei confronti della società e non notificato non è opponibile al socio e tale inopponibilità si traduce nella possibilità, per il socio stesso, di contestare la sussistenza di tutti i fatti costitutivi dell’obbligazione tributaria (così sostanzialmente Cass. n. 6626 del 07/03/2019), anche al di là di quanto normalmente consentito dalla giurisprudenza della S. C. (per la quale il socio può unicamente eccepire che i maggiori ricavi non sono stati distribuiti, ma accantonati o reinvestiti dalla società, nonché dimostrare la propria estraneità alla gestione e conduzione societaria: ex multis, Cass. n. 18042 del 09/07/2018);» (Cass. n. 18200 del 2021).

La sentenza impugnata non si è attenuta ai suddetti principi laddove – affermando che la definitività dell’accertamento nei confronti della società costituisce un punto fermo che non può essere ignorato né rimesso in discussione e la mancata partecipazione a quel processo deve intendersi come fisiologica stante la posizione giuridica dello stesso in quel momento (al momento dell’accertamento presso la società il contribuente non era più socio) e quanto all’omessa allegazione del processo verbale di contestazione nell’avviso di accertamento notificatogli, quest’ultimo riferisce tutte le notizie rilevanti per il contribuente, senza necessità di dare conto di ogni notizia relativa all’accertamento nei confronti della società di cui lo stesso non faceva parte da tempo, infine, data la definitività del giudicato nei confronti della società, tali lagnanze non possono essere prese in considerazione – ha erroneamente ritenuto che l’esistenza del giudicato nei confronti della società formatosi senza che al relativo procedimento partecipasse il socio determinasse una situazione in cui quest’ultimo non potesse avanzare contestazioni all’avviso di accertamento emesso nei suoi confronti.

Pertanto, ritenuto fondato il motivo di impugnazione, il ricorso della parte contribuente va conseguentemente accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale del Veneto, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale del Veneto, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso nella camera di consiglio dell’11maggio 2022

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