CASSAZIONE

Accertamento valido quando le scritture contabili sono inattendibili

Tributi – Società a responsabilità limitata – Accertamento induttivo puro – Inattendibilità delle scritture contabili – Documentazione extracontabile per operazioni non rinvenute nella contabilità ufficiale – Ingenti finanziamenti infruttiferi dei soci – Legittimità dell’accertamento

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 40174 del 15 dicembre 2021, è di nuovo intervenuta sulle modalità con cui viene effettuato l’avviso di accertamento per la rettifica del reddito imponibile con metodo induttivo, operato ai sensi dell’art. 39, c. 2, lett. d) del DPR 600/1973, per affermare che nelle società a responsabilità limitata, perché un’operazione sia qualificabile come finanziamento da parte dei soci e sia opponibile all’Erario, è necessario che la società abbia formalmente provveduto a effettuare la relativa delibera assembleare e a registrare l’operazione nelle scritture contabili, in tempi coerenti con l’andamento finanziario del periodo.  

In effetti, a parere degli Ermellini, se siamo di fronte all’assenza della delibera assembleare e, al contempo, sono state riscontrate successive irregolarità, l’Amministrazione finanziaria può prescindere dalle scritture contabili e stabilire, induttivamente, che l’erogazione finanziaria costituisce reimmissione in azienda di utili occulti sottratti a tassazione.

Si è spesso omesso di esaminare compiutamente le conseguenze della contabilità inattendibile, nonostante la stessa possa costituire presupposto per l’Amministrazione finanziaria di ricalcolo induttivo del reddito, nonostante il citato articolo 39, DPR 600/1973 specifichi chiaramente che sussiste l’inattendibilità nel caso che il reddito d’impresa non sia stato indicato nella dichiarazione dei redditi, quando il contribuente non ha tenuto le scritture contabili o comunque quando esse non sono disponibili per “causa di forza maggiore” e, infine, se siano riscontrate omissioni, inesatte indicazioni, irregolarità formali gravi, numerose e ripetute.

A quanto detto si affianca la previsione dell’articolo 1, DPR 570/1996, in base al quale, limitatamente alle aziende soggette a studi di settore o parametri, il Fisco può procedere all’accertamento induttivo nei casi in cui viene riscontrata una contabilità inattendibile determinando così il reddito induttivamente, sulla base di dati e notizie raccolte o di cui è venuta a conoscenza.  

Quindi, gli uffici dell’Agenzia delle entrate possono rettificare il reddito d’impresa, anche prescindendo dalle scritture contabili (cd. accertamento extra-contabile), quando le omissioni e le false o inesatte indicazioni accertate o le irregolarità formali delle scritture contabili riscontrate sono così gravi, numerose e ripetute da rendere inattendibili nel loro complesso le scritture stesse per mancanza delle garanzie proprie di una contabilità sistematica.

In altre parole, è una riconosciuta facoltà dell’ufficio fiscale poter determinare una certa percentuale di componenti negativi di cui sia venuto a conoscenza attraverso elementi probatori non direttamente riconducibili alle scritture contabili.

Nell’accertamento induttivo puro l’Amministrazione finanziaria deve tener conto anche dei costi, ai fini della determinazione del reddito del contribuente, come peraltro ben specificato dalla S.C. con la sentenza n. 19191/2019, nella quale veniva affermato che l’Amministrazione finanziaria può ricorrere a presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, ma il reddito deve essere determinato considerando anche i necessari costi sostenuti per produrre i ricavi; se così non fosse vi sarebbe la lesione del principio di capacità contributiva costituzionalmente garantito dall’art. 53 della Costituzione.

Per contro, è altrettanto pacifico in giurisprudenza (cfr. Cassazione nn.1506/2017; 225/2005; 3995/200; 26748/2018) il principio di diritto conosciuto come “valorizzazione dei costi” per cui, anche nelle ipotesi di accertamento cosiddetto induttivo “puro” ai sensi dell’articolo 39, comma 2, DPR 600/1973 in conseguenza dell’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi, l’ufficio è tenuto a determinare, seppur in termini, per l’appunto, induttivi, una determinata percentuale di componenti negativi di cui sia venuto comunque a conoscenza attraverso elementi probatori che non siano direttamente collegabili alle scritture contabili.

Tale principio, dunque, non incontra alcun intralcio nel disposto di cui all’articolo 109 del DPR 917/1986 (TUIR), in base al quale i componenti negativi di reddito sono ammessi in deduzione se e nella misura in cui risultino dal conto economico. Detta disposizione conosce una limitazione, nella sua portata applicativa, nell’ipotesi di variazione induttiva del reddito per cui alla rideterminazione dei ricavi deve corrispondere un riconoscimento forfetario di costi (v. Cass. nn.28740/2017; 1166/2012; 3995/2009).

Tanto premesso e tornando alla vicenda de quo, essa ha inizio quando l’Agenzia delle entrate, sulla base delle risultanze di un pvc della Guardia di Finanza, aveva accertato maggiori ricavi “in nero” in base a ingenti finanziamenti infruttiferi in favore della società da parte dei soci e, soprattutto, per una eloquente documentazione extracontabile in cui erano emerse operazioni non rinvenute nella contabilità ufficiale. La controversia giungeva in CTR, i cui giudici confermavano la sentenza di primo grado che dava ragione alla parte contribuente, ritenendo illegittimo il ricorso alla metodologia dell’accertamento extra-contabile per assenza dei presupposti di legge, essendo il metodo adottato dall’ufficio basato su elementi privi di certezza, precisione e concordanza. L’Agenzia delle entrate ricorrendo in Cassazione confermava che gli elementi emersi nel corso dell’attività di controllo, tra cui l’effettuazione di ingenti finanziamenti infruttiferi alla società da parte dei soci, senza alcuna delibera assembleare e con importi non corrispondenti alla loro situazione reddituale, costituivano validi presupposti per procedere all’accertamento ai sensi dell’art. 39, comma 2, del DPR 600/1973. La Corte di Cassazione ha ritenuto fondato il motivo proposto dall’Avvocatura dello Stato e ha cassato con rinvio la sentenza impugnata, ritenendo che “… in punto di fatto dalla sentenza impugnata si evince che, nella specie, trattavasi di accertamento induttivo puro o induttivo extracontabile condotto dall’Ufficio ai sensi dell’art. 39, comma 2, del d.P.R. n. 600/73, stante le rilevate gravi, numerose, ripetute irregolarità che avevano reso inattendibili nel loro complesso le scritture contabili, non avendo trovato le fatture e i relativi pagamenti annotati nella rinvenuta documentazione extracontabile relativa ai rapporti della società con i clienti (H.A. e D.S.) corrispondenza con gli importi e le date dei partitari ufficiali e, soprattutto, essendo emersi sistematici versamenti da parte dei soci -privi delle disponibilità necessarie- di ingenti somme in favore della società, contabilizzate come finanziamenti infruttiferi e presuntivamente imputate dall’Amministrazione a ricavi in nero di quest’ultima; – va precisato, a tal proposito, che, ai sensi dell’art. 39, comma secondo, lett. d), d.P.R. n. 600/1973, la determinazione del reddito di impresa può essere compiuta dall’amministrazione finanziaria prescindendo dalle presunzioni dotate dei caratteri della gravità, precisione e concordanza, quando le omissioni e le false o inesatte indicazioni accertate ai sensi del precedente comma ovvero le irregolarità formali delle scritture contabili risultanti dal verbale di ispezione sono così gravi, numerose e ripetute da rendere inattendibili nel loro complesso le scritture stesse per mancanza delle garanzie proprie di una contabilità sistematica; – si tratta, dunque, di una metodologia di controllo che può essere attivata dall’amministrazione finanziaria soltanto al ricorrere di precise condizioni caratterizzate da irregolarità estreme o comunque gravissime ed è in tali circostanze che i verificatori hanno facoltà di prescindere, in tutto o in parte, dalle risultanze del bilancio e delle scritture contabili nei casi in cui siano esistenti e di utilizzare, oltre che prove dirette, anche elementi indiziari connotati da una valenza dimostrativa non particolarmente pregnante, vale a dire presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, c.d. presunzioni semplicissime; in merito questa Corte ha affermato che “in caso di accertamento induttivo puro l’Amministrazione finanziaria può ricorrere a presunzioni “supersemplici”, ossia prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, ma deve comunque determinare, sia pure induttivamente, i costi relativi ai maggiori ricavi accertati, poiché, altrimenti, sarebbe oggetto di imposizione il profitto lordo in luogo di quello netto, in violazione dell’art. 53 Cost., non potendo trovare applicazione l’art. 109 TUIR che ammette in deduzione solo i costi risultanti dal conto economico” (da ultimo, Cass. Sez. 5 , Sentenza n. 19191 del 17/07/2019); nel caso di ricostruzione induttiva dei ricavi sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti e venuti a conoscenza dell’amministrazione, le regole che sovrintendono alla ripartizione dell’onere della prova secondo il decalogo risultante dall’art. 2697 accollano al contribuente, a fronte della legittima prova presuntiva offerta dall’Ufficio, l’onere di dedurre e provare i fatti impeditivi, modificativi, estintivi della predetta pretesa (5228/12; 20708/07; 4911/07; n. 24778/2015; n. 18026/2016); – la CTR non si è attenuta ai suddetti principi avendo escluso la sussistenza dei presupposti dell’accertamento induttivo per essere basato “su elementi privi di certezza, precisione e concordanza”; in particolare- se con riferimento alla rinvenuta documentazione extracontabile il giudice di appello ha ritenuto- con un accertamento in fatto non sindacabile in sede di legittimità- indicato in essa “un piano di rientro su forniture relative a diversi periodi di imposta che, stante anche il protesto degli assegni, non ave[va] avuto effetto” nonché giustificata “l’esistenza di fatture di vendita con numeri progressivi in distonia con l’apparato contabile trattandosi di una numerazione utilizzata per preventivi ai clienti”, con riferimento all’elemento cardine del rilievo fiscale costituito dai rilevati sistematici, ingenti e non oggetto di alcuna delibera assembleare finanziamenti infruttiferi dei soci- privi delle disponibilità necessarie- sul conto della società negli anni di imposta in contestazione (v. motivazione dell’avviso di accertamento riportato a pagg. 5-6 del ricorso), ha ritenuto, in violazione dei principi in tema di distribuzione dell’onere della prova, che ricadesse sull’Ufficio l’onere di “provare” che la disponibilità delle somme investite nella società derivasse da ricavi sottratti a tassazione nonché di “confutare” che le disponibilità finanziarie derivassero dal patrimonio personale dei soci e da prestiti familiari, e ha attribuito rilievo, sul piano della prova a contrario, ad una “presunzione di possesso delle disponibilità finanziarie per effetto dello svolgimento di attività commerciali pluriennali da parte dei soci” che, a suo avviso, “rive[stiva] valenza probatoria almeno uguale alla presunzione semplice dell’ufficio di provenienza di tali disponibilità da indimostrati ricavi in nero”; invero, in tema di società a responsabilità limitata, ai fini della qualificazione in termini di finanziamento della erogazione di denaro fatta dal socio alla società, è determinante la circostanza che l’operazione sia stata contabilizzata nel bilancio di esercizio che costituisce il documento contabile fondamentale nel quale la società dà conto dell’attività svolta e che rende detta operazione opponibile ai terzi, compreso l’Erario, essendo invece irrilevante la modalità di conferimento prescelta all’interno dell’ente (cfr. Cass. V, n. 6104/2019), sicché non costituisce mera irregolarità formale l’assenza di verbali assembleari sul punto, rappresentando elemento contabile fondamentale al fine della qualificazione quale prestito soci, secondo i principi sopra enunciati, nonché per i profili contabili riflessi, tra cui quelli fiscali. In altri termini, la legittimità di un finanziamento soci -opponibile al Fisco- richiede la regolarità formale delle delibere assembleari e delle scritture contabili, in tempi coerenti con l’andamento finanziario del periodo, diversamente l’erogazione finanziaria deve ritenersi reimmissione in azienda di utili occulti (Cass., sez. 5, n. 24746 del 2020). – con il secondo motivo, si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione degli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c., 39 del d.P.R. n. 600/73 e 54 del d.P.R. n. 633/72, per avere la CTR ritenuto erroneamente illegittimi gli avvisi, ancorché, a volere considerare l’accertamento in questione condotto sostanzialmente ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 600/73, fosse sufficiente l’elemento presuntivo dei maggiori utili extracontabili costituito dagli ingiustificati ingenti finanziamenti infruttiferi in contanti da parte dei soci alla società, a fronte del quale la contribuente non aveva prodotto idonea prova a contrario in ordine alla diversa provenienza delle somme conferite; – con il terzo motivo, si denuncia, in subordine, in relazione all’art. 360, comma 1 n. 5 c.p.c., l’insufficiente motivazione su un fatto decisivo e controverso per il giudizio per avere la CTR apoditticamente negato la validità della presunzione sulla quale l’Ufficio aveva fondato l’accertamento senza verificare, a fronte dei rilevati ingenti finanziamenti infruttiferi da parte dei soci alla società, negli anni di imposta in questione, la produzione da parte della contribuente di idonea prova a contrario circa la diversa provenienza delle somme conferite; – l’accoglimento del primo motivo rende inutile la trattazione del secondo e del terzo, con assorbimento degli stessi; – in conclusione, va accolto il primo motivo di ricorso, assorbiti il secondo e il terzo motivo”.

Corte di Cassazione – Ordinanza 15 dicembre 2021, n. 40174

Sul ricorso iscritto al numero 16704 del ruolo generale dell’anno 2013, proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

 -ricorrente-

Contro T. P. s.r.I., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, giusta procura speciale in calce al controricorso, dall’Avv.to Andrea Aliberti e dall’Avv.to Domenico Bonaccorsi di Patti, elettivamente domiciliata presso lo studio del secondo difensore in Roma Via Federico Cesi n. 72;

-controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 195/38/12, depositata in data 22 maggio 2012, non notificata.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27 ottobre 2021 al Relatore Cons. Maria Giulia Putaturo Donati Viscido di Nocera.

Rilevato che

– con sentenza n. 195/38/12, depositata in data 22 maggio 2012, la Commissione tributaria regionale del Lazio rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, nei confronti di T. P. s.r.l. in persona del legale rappresentante pro tempore, avverso la sentenza n. 50/11/10 della Commissione tributaria provinciale di Roma che, previa riunione, avevano accolto i ricorsi proposti dalla società avverso gli avvisi di accertamento con i quali l’Ufficio, previo p.v.c. della G.d.F., aveva contestato, ai sensi degli artt. 39, comma 2, lett. d) del d.P.R. n. 600/73 e 55 del d.P.R. n. 633/72, per gli anni 2003-2005, maggiori ricavi “in nero”, ai fini Irpeg, Irap e Iva, avuto riguardo a sistematici ingenti finanziamenti infruttiferi in favore della società da parte dei soci non corrispondenti alla loro situazione reddituale nonché a copiosa documentazione extracontabile in cui erano risultate operazioni non rinvenute nella contabilità ufficiale;

– la CTR, in punto di diritto, per quanto di interesse, ha osservato che:

1) non sussistevano i presupposti per l’accertamento induttivo extracontabile, essendo il metodo adottato dall’Ufficio basato su elementi privi di certezza, precisione e concordanza;

2) in particolare, non risultava provata dall’Ufficio la derivazione della somma investita nella società da ricavi “in nero” né validamente confutato dall’Amministrazione che le disponibilità finanziarie dei soci derivassero dal patrimonio personale dei medesimi e da prestiti familiari; al riguardo, la presunzione di possesso da parte dei soci delle disponibilità finanziarie per effetto dello svolgimento di molteplici attività commerciali pluriennali assumeva valore probatorio almeno uguale alla presunzione di provenienza di tali disponibilità da indimostrati ricavi “in nero”;

3) nella documentazione extracontabile era indicato un piano di rientro su forniture relative a periodi diversi (2005- 2006 che, stante anche il protesto degli assegni, non aveva avuto effetto; era da ritenersi giustificata anche l’esistenza di fatture di vendita con numeri progressivi in distonia con l’apparato contabile trattandosi di una numerazione utilizzata per i preventivi ai clienti;

– avverso la sentenza della CTR, l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui resiste con controricorso la società;

– l’Agenzia ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380bis1 c.p.c.;

– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375, secondo comma, e dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ., introdotti dall’art. 1-bis del d.l. 31 agosto 2016, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 ottobre 2016, n. 197.

Considerato che

– con il primo motivo, si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione degli artt. 42 (rectius: 39), comma 2, lett. d) del d.P.R. n. 600/73 e 55 del d.P.R. n. 633/72 per avere la CTR ritenuto illegittimi gli atti impositivi non avendo l’Ufficio fornito elementi presuntivi dotati dei  requisiti di certezza, precisione e concordanza a fondamento  dell’operato accertamento induttivo, ancorché sia il rinvenimento di documentazione extracontabile relativa ai rapporti con i clienti della società che l’incontestata effettuazione di sistematici ingenti finanziamenti infruttiferi alla società da parte dei soci, non corrispondenti alla loro situazione reddituale, costituissero validi presupposti per procedere all’accertamento ai sensi dell’art. 39, comma 2, del d.P.R. n. 600/73;

– il motivo è fondato per le ragioni di seguito indicate;

– in punto di fatto dalla sentenza impugnata si evince che, nella specie, trattavasi di accertamento induttivo puro o induttivo extracontabile condotto dall’Ufficio ai sensi dell’art. 39, comma 2, del d.P.R. n. 600/73, stante le rilevate gravi, numerose, ripetute irregolarità che avevano reso inattendibili nel loro complesso le scritture contabili, non avendo trovato le fatture e i relativi pagamenti annotati nella rinvenuta documentazione extracontabile relativa ai rapporti della società con i clienti (H.A. e D.S.) corrispondenza con gli importi e le date dei partitari ufficiali e, soprattutto, essendo emersi sistematici versamenti da parte dei soci -privi delle disponibilità necessarie- di ingenti somme in favore della società, contabilizzate come finanziamenti infruttiferi e presuntivamente imputate dall’Amministrazione a ricavi in nero di quest’ultima;

– va precisato, a tal proposito, che, ai sensi dell’art. 39, comma secondo, lett. d), d.P.R. n. 600/1973, la determinazione del reddito di impresa può essere compiuta dall’amministrazione finanziaria prescindendo dalle presunzioni dotate dei caratteri della gravità, precisione e concordanza, quando le omissioni e le false o inesatte indicazioni accertate ai sensi del precedente comma ovvero le irregolarità formali delle scritture contabili risultanti dal verbale di ispezione sono così gravi, numerose e ripetute da rendere inattendibili nel loro complesso le scritture stesse per mancanza delle garanzie proprie di una contabilità sistematica;

– si tratta, dunque, di una metodologia di controllo che può essere attivata dall’amministrazione finanziaria soltanto al ricorrere di precise condizioni caratterizzate da irregolarità estreme o comunque gravissime ed è in tali circostanze che i verificatori hanno facoltà di prescindere, in tutto o in parte, dalle risultanze del bilancio e delle scritture contabili nei casi in cui siano esistenti e di utilizzare, oltre che prove dirette, anche elementi indiziari connotati da una valenza dimostrativa non particolarmente pregnante, vale a dire presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, c.d. presunzioni semplicissime; in merito questa Corte ha affermato che “in caso di accertamento induttivo puro l’Amministrazione finanziaria può ricorrere a presunzioni “supersemplici”, ossia prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, ma deve comunque determinare, sia pure induttivamente, i costi relativi ai maggiori ricavi accertati, poiché, altrimenti, sarebbe oggetto di imposizione il profitto lordo in luogo di quello netto, in violazione dell’art. 53 Cost., non potendo trovare applicazione l’art. 109 TUIR che ammette in deduzione solo i costi risultanti dal conto economico” (da ultimo, Cass. Sez. 5 , Sentenza n. 19191 del 17/07/2019); nel caso di ricostruzione induttiva dei ricavi sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti e venuti a conoscenza dell’amministrazione, le regole che sovrintendono alla ripartizione dell’onere della prova secondo il decalogo risultante dall’art. 2697 accollano al contribuente, a fronte della legittima prova presuntiva offerta dall’Ufficio, l’onere di dedurre e provare i fatti impeditivi, modificativi, estintivi della predetta pretesa (5228/12; 20708/07; 4911/07; n. 24778/2015; n. 18026/2016);

– la CTR non si è attenuta ai suddetti principi avendo escluso la sussistenza dei presupposti dell’accertamento induttivo per essere basato “su elementi privi di certezza, precisione e concordanza”; in particolare- se con riferimento alla rinvenuta documentazione extracontabile il giudice di appello ha ritenuto- con un accertamento in fatto non sindacabile in sede di legittimità- indicato in essa “un piano di rientro su forniture relative a diversi periodi di imposta che, stante anche il protesto degli assegni, non ave[va] avuto effetto” nonché giustificata “l’esistenza di fatture di vendita con numeri progressivi in distonia con l’apparato contabile trattandosi di una numerazione utilizzata per preventivi ai clienti”, con riferimento all’elemento cardine del rilievo fiscale costituito dai rilevati sistematici, ingenti e non oggetto di alcuna delibera assembleare finanziamenti infruttiferi dei soci- privi delle disponibilità necessarie- sul conto della società negli anni di imposta in contestazione (v. motivazione dell’avviso di accertamento riportato a pagg. 5-6 del ricorso), ha ritenuto, in violazione dei principi in tema di distribuzione dell’onere della prova, che ricadesse sull’Ufficio l’onere di “provare” che la disponibilità delle somme investite nella società derivasse da ricavi sottratti a tassazione nonché di “confutare” che le disponibilità finanziarie derivassero dal patrimonio personale dei soci e da prestiti familiari, e ha attribuito rilievo, sul piano della prova a contrario, ad una “presunzione di possesso delle disponibilità finanziarie per effetto dello svolgimento di attività commerciali pluriennali da parte dei soci” che, a suo avviso, “rive[stiva] valenza probatoria almeno uguale alla presunzione semplice dell’ufficio di provenienza di tali disponibilità da indimostrati ricavi in nero”; invero, in tema di società a responsabilità limitata, ai fini della qualificazione in termini di finanziamento della erogazione di denaro fatta dal socio alla società, è determinante la circostanza che l’operazione sia stata contabilizzata nel bilancio di esercizio che costituisce il documento contabile fondamentale nel quale la società dà conto dell’attività svolta e che rende detta operazione opponibile ai terzi, compreso l’Erario, essendo invece irrilevante la modalità di conferimento prescelta all’interno dell’ente (cfr. Cass. V, n. 6104/2019), sicché non costituisce mera irregolarità formale l’assenza di verbali assembleari sul punto, rappresentando elemento contabile fondamentale al fine della qualificazione quale prestito soci, secondo i principi sopra enunciati, nonché per i profili contabili riflessi, tra cui quelli fiscali. In altri termini, la legittimità di un finanziamento soci -opponibile al Fisco- richiede la regolarità formale delle delibere assembleari e delle scritture contabili, in tempi coerenti con l’andamento finanziario del periodo, diversamente l’erogazione finanziaria deve ritenersi reimmissione in azienda di utili occulti (Cass., sez. 5, n. 24746 del 2020).

– con il secondo motivo, si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione degli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c., 39 del d.P.R. n. 600/73 e 54 del d.P.R. n. 633/72, per avere la CTR ritenuto erroneamente illegittimi gli avvisi, ancorché, a volere considerare l’accertamento in questione condotto sostanzialmente ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 600/73, fosse sufficiente l’elemento presuntivo dei maggiori utili extracontabili costituito dagli ingiustificati ingenti finanziamenti infruttiferi in contanti da parte dei soci alla società, a fronte del quale la contribuente non aveva prodotto idonea prova a contrario in ordine alla diversa provenienza delle somme conferite;

– con il terzo motivo, si denuncia, in subordine, in relazione all’art. 360, comma 1 n. 5 c.p.c., l’insufficiente motivazione su un fatto decisivo e controverso per il giudizio per avere la CTR apoditticamente negato la validità della presunzione sulla quale l’Ufficio aveva fondato l’accertamento senza verificare, a fronte dei rilevati ingenti finanziamenti infruttiferi da parte dei soci alla società, negli anni di imposta in questione, la produzione da parte della contribuente di idonea prova a contrario circa la diversa provenienza delle somme conferite;

– l’accoglimento del primo motivo rende inutile la trattazione del secondo e del terzo, con assorbimento degli stessi;

– in conclusione, va accolto il primo motivo di ricorso, assorbiti il secondo e il terzo motivo;

con cassazione della sentenza impugnata e rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, dinanzi alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, per un riesame della vicenda nel merito.

P.Q.M.

accoglie il primo motivo del ricorso, assorbiti il secondo e il terzo; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione. Così deciso in Roma in data 27 ottobre 2021

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