CASSAZIONE IVA

No al rimborso IVA per i miglioramenti su beni di terzi concessi in comodato

Tributi – IVA – Detrazione imposta assolta per spese incrementative e miglioramenti su beni di terzi concessi in comodato non removibili – Rimborso – Diniego – Legittimità

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 24518 del 4 novembre 2020, occupandosi della disciplina che regola i rimborsi IVA ha stabilito che non spetta il rimborso dell’eccedenza dell’imposta connessa alle spese per la realizzazione di opere di miglioramento eseguite su beni immobili concessi in comodato. In buona sostanza, la S.C. ha affermato che deve ritenersi non ammissibile la richiesta della parte contribuente per opere di ampliamento eseguite su un immobile di terzi detenuto in comodato, perché tali opere non sono riconducibili alla fattispecie di acquisto di beni ammortizzabili, ma più propriamente rientrano in quella degli oneri pluriennali, che sono esclusi dalla specifica disciplina di rimborso IVA prevista dall’art. 30, c. 3, del DPR n. 633/1972.

Giova osservare, in via preliminare, che la citata normativa prevede la facoltà per il contribuente di chiedere, in tutto o in parte, il rimborso dell’eccedenza detraibile all’atto della presentazione della dichiarazione in presenza di alcune condizioni, alternativamente previste, tra cui quella per cui tale eccedenza di riferisca all’imposta relativa all’acquisto o all’importazione di beni ammortizzabili.

Al riguardo occorre ricordare che anche recentemente questo tema è stato oggetto di numerosi interventi della Corte, fra i quali ricordiamo quello delle Sezioni Unite, che con la sentenza 11 maggio 2018, n. 11533, ha posto fine al contrasto giurisprudenziale sorto in seno alla stessa Cassazione sul tema del riconoscimento della detrazione IVA in caso di spese incrementative su beni in proprietà di terzi.

La questione viene risolta con riferimento alle regole unionali, notoriamente propense ad assicurare il rispetto del diritto alla detrazione per beni strumentali.

Dalle SS.UU. viene infatti ricordato il principio di diritto sancito dalla Corte Ue più volte: “Deve riconoscersi il diritto alla detrazione IVA per lavori di ristrutturazione o manutenzione anche in ipotesi di immobili di proprietà di terzi, purché sia presente un nesso di strumentalità con l’attività d’impresa o professionale, anche se quest’ultima sia potenziale o di prospettiva. E ciò pur se – per cause estranee al contribuente – la predetta attività non abbia poi potuto concretamente esercitarsi”.

Il diritto a detrazione va allora negato solo in ipotesi del tutto eccezionali, subordinatamente alla riscontrata sussistenza della essenziale condizione del nesso di strumentalità dell’immobile che consenta di evitare, a chi è nella sostanza un consumatore finale, di poter detrarre l’imposta. Un nesso di strumentalità che viene meno soltanto quando l’attività economica anche potenziale cui avrebbe dovuto accedere non sia stata intrapresa per circostanze non estranee al contribuente. E con l’ulteriore aggiunta “che la questione all’esame nulla a che fare con fattispecie abusive – o elusive – risolvendosi invece unicamente nello stabilire con un tipico accertamento di fatto se il diritto spetta o non spetta per la rammentata ragione della esistenza o meno della natura strumentale dell’immobile rispetto all’attività economica in concreto svolta o che il contribuente avrebbe potuto svolgere”.

Su questa specifica questione si fronteggiavano ormai da tempo due diversi orientamenti interpretativi della Cassazione, focalizzati però sulla sola questione della proprietà del bene, con l’inevitabile ricaduta della possibilità della detrazione IVA da estendere anche agli immobili non di proprietà ma ricevuti per locazione. Su questo tema è insorto da tempo un contrasto tra pronunce intese a riconoscere – o ad escludere – il diritto a detrarre l’IVA in casi nei quali erano stati svolti lavori di manutenzione o ristrutturazione su immobili utilizzati dall’impresa che li aveva soltanto in affitto per la sua attività. Più precisamente, in alcune occasioni la Suprema Corte aveva negato la detraibilità dell’IVA relativa alle spese di manutenzione straordinaria su immobili di proprietà di terzi e di cui l’imprenditore avesse solo il godimento (in questo senso, cfr. in particolare Cass. n. 2939 del 2006; Cass. n. 15808 del 2006; sul tema del rimborso dell’eventuale eccedenza detraibile, Cass. 24779 del 2015; Cass. sez. trib. n. 12/07/2006, n. 15808; Cass. sez. trib. n. 2939 del 2006; Cass. sez. trib. n. 13494 del 2015; Cass. sez. trib. n. 6936 del 2011).

In altre occasioni, secondo una diversa linea interpretativa, la Cassazione si era espressa nel senso della piena detraibilità dell’IVA delle spese di ristrutturazione di immobili condotti in locazione nell’esercizio d’impresa, nonché della possibilità di rimborso dell’eventuale eccedenza detraibile (cfr. in particolare, Cass. n. 10079/ 2009; Cass. n. 3544/2010; Cass. n. 8389/2013; Cass. n. 6200/2015, nonché, sul tema del rimborso dell’eventuale eccedenza detraibile, Cass. n. 9327/2014 e Cass. sez. trib. n. 13327/2011).

In particolare, ricordiamo che con la pronunzia della S.C. Sez. 5, n. 6200 del 27 marzo 2015, si riteneva che poteva sussistere il diritto alla detrazione, e di conseguenza al rimborso dell’IVA, assolta sul costo dei lavori di ristrutturazione del fabbricato condotto in locazione e costituente bene destinato all’esercizio dell’attività alberghiera dello stesso conduttore.

Tale interpretazione aveva origine nel ritenere che l’eccedenza era per un verso conforme ai dettami generali della Direttiva CE del Consiglio n. 112/2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (artt. 163, 183, 187, 189 e 190), per un altro verso formatasi in relazione a costi per migliorie di beni di terzi eseguite al fine di migliorare la redditività dell’impresa e ammortizzabili nel bilancio civilistico quali “altre immobilizzazioni immateriali” (art. 2424 c.c., B.I.7; OIC 24, 23, 73, 95), alla stregua della normativa comunitaria sui conti annuali delle società.

Le motivazioni espresse con tale pronunzia, che riportiamo integralmente, specificavano che: “La stessa Corte di giustizia non ha mancato di ricordare che l’obbligo del fisco nazionale di rimborsare l’eccedenza dell’IVA si riconnette al diritto del contribuente all’immediato diritto a detrazione (sentenza C-286/94 del 18/12/1997, Molenheide Bvba), secondo un sistema diretto ad esonerare interamente l’imprenditore dall’IVA dovuta o pagata nell’ambito delle sue attività economiche (sentenza C-110/98 del 21/03/2000, Gabalfrisa SL). La Corte di Lussemburgo ha ripetutamele ribadito che, ai fini di stabilire se sia detraibile, o meno un’attività di acquisto o di ristrutturazione di un bene da adibire all’esercizio dell’impresa, deve aversi riguardo all’intenzione del soggetto passivo di imposta, confermata da elementi obiettivi, di utilizzare un bene o un servizio per fini aziendali; il che consente di determinare se, nel momento in cui procede all’operazione a monte, detto soggetto passivo agisca come tale, e debba dunque poter beneficiare del diritto a detrazione dell’IVA dovuta o assolta per i detti beni e servizi (sentenze C- 97/90 dell’11/07/1991, Lennartz, e C-400/98 del 08/06/00, Breitshol; conf. C-334/10 del 19/07/2012). Ne consegue, per la Corte di giustizia, che il sistema comune garantisce, di regola, “la perfetta neutralità dell’imposizione fiscale per tutte le attività economiche, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di dette attività, purchè queste siano di per sè soggette all’IVA” (sentenza C-50/87 del 21/09/1988, Commissione c. Repubblica francese; conf. C-268/83 del 14/02/1985, Rompelman)”.

L’ordinanza della Cassazione n. 12457/2019, sulla scia di quanto affermato dalle SS. UU con la citata la sentenza n. 11533 dell’11 maggio 2018, ha però superato tale orientamento con una motivazione che trae forza da quanto stabilito dall’articolo 14, paragrafo 1 della direttiva IVA: a seguito di tale disposizione la giurisprudenza comunitaria ha dichiarato che è assimilabile a un acquisto di beni l’operazione realizzata con la conclusione di un contratto di leasing relativo a un bene che preveda o il trasferimento di proprietà al conduttore alla scadenza di tale contratto o che il conduttore disponga delle caratteristiche essenziali della proprietà del bene. Tale circostanza si verifica se al conduttore venga trasferita la maggior parte dei rischi e benefici inerenti la proprietà legale e se la somma delle rate, interessi inclusi, sia praticamente pari al valore venale del bene. La Suprema Corte ha affermato che l’operazione di leasing deve essere equiparata all’acquisto di un “bene di investimento” e, quindi, si verifica a suo favore, anche prima dell’esercizio del diritto di riscatto, l’ipotesi di acquisto di un “bene” ammortizzabile prevista dall’art. 30, terzo comma, lettera c), D.P.R. n. 633/1972 (così, Cass. 16 ottobre 2015, n. 20951). Lo stesso principio era stato affermato con l’ordinanza n. 22959 del 26 settembre 2018.

L’innovativo arresto ha rafforzato la convinzione che il riconoscimento del diritto al rimborso dell’eccedenza di IVA detraibile debba richiedere la definizione di due aspetti: a) il previo accertamento della sussistenza di un atto di acquisto (o di importazione); b) la natura di bene ammortizzabile dell’oggetto dell’operazione.

In merito al primo aspetto i giudici di cassazione hanno assunto che assume rilevanza l’acquisizione, in via definitiva, “dei poteri di disposizione materiale sul bene tipici del proprietario, ossia il potere, tendenzialmente illimitato, di godimento e utilizzo, e dei relativi rischi (cd. disponibilità economica del bene)”. La Corte evidenzia inoltre che anche la disciplina UE, relaziona la cessione di beni fiscalmente rilevante non alla disponibilità giuridica del bene, bensì “al trasferimento del potere di disporre di un bene materiale come proprietario” e, in ogni caso, alla “… consegna materiale di un bene in base ad un contratto che prevede la locazione di un bene per un dato periodo o la vendita a rate di un bene, accompagnate dalla clausola secondo la quale la proprietà è normalmente acquisita al più tardi all’atto del pagamento dell’ultima rata” (v. Sent. 8/2/1990 – CAUSA C-320/88 e direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28/11/2006; cfr. Corte di Giustizia, 2/7/2015, NLB Leasing; Corte di Giustizia, 16/2/2012, Eon Aset Menidjmunt).

Sul secondo aspetto (natura del bene) la Corte afferma che, in assenza di utili indicazioni dalla disciplina IVA sia nazionale sia unionale, il concetto di bene ammortizzabile va individuato dalle disposizioni che in tema di imposte dirette ne recano una sommaria enunciazione con riferimento ai beni materiali o immateriali. In definitiva, ai fini della procedura di rimborso IVA sono beni ammortizzabili quelli che, da un lato, sono provvisti del requisito della strumentalità in quanto destinati a essere utilizzati nell’attività dell’impresa e, dall’altro, costituiscono immobilizzazioni materiali o immateriali in relazione alla loro idoneità a un uso durevole, che non si esaurisce nell’arco di un esercizio contabile, e al potere dell’imprenditore di disporne in quanto titolare del diritto di proprietà o di altro diritto reale di godimento.

La sola strumentalità del bene, dunque, non è sufficiente, attesa la non sovrapponibilità del concetto con quello di ammortizzabilità e la necessità che tale bene sia riconducibile alla categoria delle immobilizzazioni. Pertanto, la sussistenza delle condizioni per la detrazione dell’IVA non implica, di per sé, l’automatico riconoscimento del diritto al rimborso della stessa, “in quanto l’innegabile centralità sistematica del principio di neutralità non impone necessariamente un vincolo di biunivocità delle situazioni, tale per cui non si possa dare l’una in difetto dell’altro e viceversa” (Ord. n.10110/2020). 

Il diritto al rimborso, infatti, costituisce una facoltà di natura eccezionale prevista al fine di consentire agli operatori economici che effettuano operazioni di investimento un più veloce recupero dell’imposta assolta con riferimento ai beni acquistati, evitando così un aggravio della propria posizione finanziaria.

Tanto premesso, e tornando al caso in esame, la controversia trae origine dal diniego all’istanza di rimborso IVA presentata da una società contribuente per le spese di ampliamento del fabbricato preesistente appartenente a terzi, nella disponibilità della stessa società in virtù di comodato. Il diniego è stato impugnato con ricorso accolto dai giudici tributari, i quali hanno ritenuto che non vi fosse ragione per escludere la detrazione rilevando, in definitiva, la natura strumentale dell’immobile sul quale vengono eseguiti i lavori di ristrutturazione o miglioramento, all’attività dell’impresa, a prescindere dalla proprietà del bene da parte del soggetto che esegue i lavori.

L’Agenzia delle Entrate impugnava la decisione della CTR con un solo motivo di doglianza, lamentando essenzialmente la violazione e falsa applicazione dell’art. 30, comma 3, lett. c), del D.P.R. n. 633/1972, nonché dell’art. 108 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR), sostenendo quindi l’inapplicabilità della procedura di rimborso prevista per l’IVA assolta sugli acquisti di beni ammortizzabili, configurandosi nella fattispecie spese che comportano opere non separabili dai beni di terzi cui accedono al termine del periodo di utilizzo costituendo oneri pluriennali.

La Corte di Cassazione ha confermato la legittimità del diniego di rimborso accogliendo il ricorso affidato all’Avvocatura dello Stato, osservando che: “ … l’art. 30, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, nel testo applicabile ratione temporis, prevede la facoltà del contribuente di chiedere, in tutto o in parte, il rimborso dell’eccedenza detraibile, se di importo superiore a lire cinque milioni, all’atto della presentazione della dichiarazione in presenza di alcune condizioni, alternativamente previste, tra cui quella del riferimento di tale eccedenza all’imposta relativa all’acquisto o all’importazione di beni ammortizzabili (lett. c); il riconoscimento del diritto al rimborso dell’eccedenza di IVA detraibile richiede, pertanto, il previo accertamento della sussistenza di un atto di acquisto (o di importazione) e della natura di bene ammortizzabile dell’oggetto dell’operazione, con riferimento al primo aspetto (trasferimento del bene) deve evidenziarsi che il concetto di «cessione di beni» imponibile utilizzato dalla disciplina fiscale non coincide con quello civilistico, atteso che vi sono casi in cui ricorre la cessione anche se non si è verificato il trasferimento di proprietà (si pensi alle vendite con riserva di proprietà, nonché alle locazioni con clausola di trasferimento della proprietà vincolante per ambedue le parti: art. 2, comma 2, nn. 1 e 2, del d.P.R. n. 633 del 1972) e casi in cui, pur sussistendo un trasferimento civilistico di proprietà, non vi è «cessione di beni» imponibile (si pensi all’elenco contenuto nel comma 3 del medesimo art. 2); una siffatta interpretazione del concetto è coerente con la disciplina unionale la quale, all’art. 14, par. 1, della direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006, riconduce la cessione di beni fiscalmente rilevante non alla disponibilità giuridica del bene, bensì «al trasferimento del potere di disporre di un bene materiale come proprietario» e, in ogni caso, alla «consegna materiale di un bene in base ad un contratto che prevede la locazione di un bene per un dato periodo o la vendita a rate di un bene, accompagnate dalla clausola secondo la quale la proprietà è normalmente acquisita al più tardi all’atto del pagamento dell’ultima rata» (par. 2, lett. b);  in applicazione di tali disposizioni è stato affermato che l’operazione realizzata con la conclusione di un contratto di leasing relativo ad un bene ammortizzabile che preveda o il trasferimento di proprietà al conduttore alla scadenza di tale contratto o che il conduttore disponga delle caratteristiche essenziali della proprietà, segnatamente che gli venga trasferita la maggior parte dei rischi e benefici inerenti alla proprietà legale del bene e che la somma delle rate, interessi inclusi, sia praticamente identica al valore venale dello stesso, va equiparata a un’operazione di acquisto di un bene di investimento (cfr. Corte di Giustizia, 2 luglio 2015, NLB Leasing; Corte di Giustizia, 16 febbraio 2012, Eon Aset Menidjmunt; per la giurisprudenza domestica, cfr., da ultimo, Sez. 5, 10 maggio 2019, n. 12457);  diversamente, ma in applicazione del medesimo principio, è stata esclusa la ricorrenza di una cessione di beni in presenza di un trasferimento della nuda proprietà di un bene ammortizzabile, in quanto all’acquisto della titolarità del bene e del potere di disposizione giuridica sullo stesso non si accompagna il trasferimento in via definitiva anche delle facoltà di godimento e di utilizzo del bene medesimo e, dunque, del potere di fatto sul bene, necessario per l’utilizzo dello stesso in funzione degli scopi dell’impresa (cfr. Sez. 5, 22 dicembre 2017, n. 30807); assume dunque rilevanza, ai fini che qui interessano, l’acquisizione, in via definitiva, dei poteri di disposizione materiale sul bene tipici del proprietario, ossia il potere, tendenzialmente illimitato, di godimento e utilizzo, e dei relativi rischi (cd. disponibilità economica del bene); in ordine al secondo aspetto (natura del bene) si è affermato, sempre ai fini che qui interessano, che, in assenza di utili indicazioni dalla disciplina in tema di IVA, sia nazionale, sia unionale, il concetto di bene ammortizzabile va individuato dalle disposizioni che in tema di imposte dirette ne recano una sommaria enunciazione con riferimento ai beni materiali o immateriali di cui è menzione negli artt. 102 e 103 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (cfr. Sez. 5, 4 dicembre 2015, n. 24779); ancora secondo Sez. 5, n. 24779/2015 cit., sono beni ammortizzabili quelli che, da un lato, sono provvisti del requisito della strumentalità, in quanto destinati ad essere utilizzati nell’attività t dell’impresa e, perciò, inidonei alla produzione di un reddito autonomo rispetto a quello del complesso aziendale in cui siano inseriti, e, dall’altro, costituiscono immobilizzazioni materiali o immateriali, in relazione alla loro idoneità ad un uso durevole, che non si esaurisce nell’arco di un esercizio contabile, e al potere dell’imprenditore di disporne in quanto titolare del diritto di proprietà o di altro diritto reale di godimento; la sola strumentalità del bene, dunque, non è sufficiente, attesa la non sovrapponibilità del concetto con quello di ammortizzabilità e la necessità che tale bene sia riconducibile alla categoria delle immobilizzazioni; ciò posto, si osserva che nel caso in esame l’IVA si riferisce pacificamente non già all’acquisto di beni, bensì alla realizzazione di opere – per l’esattezza, opere di ampliamento eseguite su un immobile di terzi concesso in comodato -, in quanto tale esulante dalla previsione dell’art. 30, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, poiché non riconducibile alla fattispecie di acquisto di beni;. può, al riguardo, aggiungersi che la sussistenza delle condizioni per la detrazione dell’IVA non implica, di per sé, l’automatico riconoscimento del diritto al rimborso della stessa, in quanto l’innegabile centralità sistematica del principio di neutralità non impone necessariamente un vincolo di biunivocità delle situazioni, tale per cui non si possa dare l’una in difetto dell’altro e viceversa (in tal senso, invece, Sez. 5, 27 marzo 2015, n. 6200); infatti, il diritto al rimborso costituisce una facoltà di natura eccezionale, riservata al contribuente in alternativa all’esercizio, in via ordinaria, del diritto della detrazione, prevista al fine di consentire agli operatori economici che effettuano operazioni di investimento un più veloce recupero dell’imposta assolta con riferimento ai beni acquistati ed evitare così un aggravio della propria posizione finanziaria. In conclusione, la sentenza impugnata, nel sovrapporre i concetti di ammortizzabilità e strumentalità, non si conforma ai suesposti principi e deve pertanto essere cassata in accoglimento del ricorso; non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito ex art. 384, comma 2, c.p.c. con il rigetto dell’originaria domanda; la complessità della questione giustifica la compensazione delle spese dell’intero giudizio”.

Corte di Cassazione – Ordinanza 4 novembre 2020, n. 24518

sul ricorso n. 875/2017 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato presso cui è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12

 – ricorrente –

contro V.P. S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore

 – intimata –

avverso la sentenza n. 2521/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELLA PUGLIA-SEZIONE STACCATA DI LECCE, depositata il 26 novembre 2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 2 ottobre 2019 dal Cons. ROBERTO MUCCI.

Considerato che

1. la CTR della Puglia-Sezione staccata di Lecce ha accolto, previa riunione, i gravami interposti da V.P. s.r.l. avverso due sentenze della CTP di Lecce di rigetto dei ricorsi della medesima società contro i dinieghi di rimborso dell’IVA ex art. 30, comma 3, lett. c), del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 richiesto per gli anni 2005 e 2006 relativamente alle spese per l’ampliamento, mediante ulteriore costruzione, del fabbricato preesistente appartenente a terzi nella disponibilità della società in virtù di comodato, beni che secondo la CTP non rientrano, come beni “ammortizzabili”, nella previsione della citata norma;

2. la CTR ha ritenuto, alla luce di Sez. 5, 27 marzo 2015, n. 6200, che «non v’è ragione per escludere la detrazione e di conseguenza il rimborso dell’IVA assolta sul costo dei lavori di ristrutturazione, mediante ampliamento, di un fabbricato di terzi e condotto in comodato dal contribuente, costituente bene destinato all’esercizio dell’attività di impresa dello stessa – circostanza quest’ultima pacifica e non controversa -, rilevando, in definitiva, la natura strumentale dell’immobile sul quale vengono eseguiti i lavori di ristrutturazione o miglioramento, all’attività dell’impresa, a prescindere dalla proprietà del bene da parte del soggetto che esegue i lavori»;

3. avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate affidato a un unico motivo. La società V.P. non ha svolto difese.

Ritenuto che

4. la questione controversa attiene all’ammissibilità o meno del rimborso dell’IVA assolta per spese incrementative e miglioramenti su beni di terzi concessi in comodato, non suscettibili di essere rimossi al termine dell’utilizzo;

5. con l’unico motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 30, comma 3, lett. c) del d.P.R. n. 633 del 1972, nonché dell’art. 108 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR): sostiene l’amministrazione che rientrano nella categoria dei “beni ammortizzabili” quelli «autonomamente funzionali, che sono fisicamente amovibili e asportabili senza perdere l’autonoma funzionalità e la caratteristica di bene.

Tali beni sono soggetti alla procedura di ammortamento, ex articolo 103 e 109 TUIR, (…) Invece, il diritto al rimborso è stato fondato in relazione a spese di ristrutturazione su beni di terzi, non rientranti nella nozione di bene ammortizzabile, come sopra specificato, ma rientranti nella nozione di spese relative a più esercizi di cui all’art. 108 TUIR e, pertanto, escluse dalla possibilità di rimborso ex articolo 30, comma 3, lett. c), DPR n. 633 del 1972.

Deve specificarsi che sono beni ammortizzabili quelli sottoponibili alla procedura di ammortamento e, precisamente, sia i beni per i quali la procedura di ammortamento è immediatamente attuabile – come nel caso di acquisto di un prodotto finito – sia i beni per i quali la procedura stessa è potenzialmente attuabile, nel senso che la procedura di ammortamento sarà applicabile all’atto della realizzazione (cfr. risoluzione del 6 giugno 2002, n. 179/E)» (pp. 4-5 – del ricorso);

in definitiva, secondo l’amministrazione le spese che comportano opere non separabili dai beni di terzi cui accedono al termine del periodo di utilizzo costituiscono oneri pluriennali ex art. 108, comma 3, TUIR e non spese suscettibili di rimborso dell’IVA;

5.1. Il mezzo è fondato;

5.2. l’art. 30, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, nel testo applicabile ratione temporis, prevede la facoltà del contribuente di chiedere, in tutto o in parte, il rimborso dell’eccedenza detraibile, se di importo superiore a lire cinque milioni, all’atto della presentazione della dichiarazione in presenza di alcune condizioni, alternativamente previste, tra cui quella del riferimento di tale eccedenza all’imposta relativa all’acquisto o all’importazione di beni ammortizzabili (lett. c); il riconoscimento del diritto al rimborso dell’eccedenza di IVA detraibile richiede, pertanto, il previo accertamento della sussistenza di un atto di acquisto (o di importazione) e della natura di bene ammortizzabile dell’oggetto dell’operazione.

5.3. con riferimento al primo aspetto (trasferimento del bene) deve evidenziarsi che il concetto di «cessione di beni» imponibile utilizzato dalla disciplina fiscale non coincide con quello civilistico, atteso che vi sono casi in cui ricorre la cessione anche se non si è verificato il trasferimento di proprietà (si pensi alle vendite con riserva di proprietà, nonché alle locazioni con clausola di trasferimento della proprietà vincolante per ambedue le parti: art. 2, comma 2, nn. 1 e 2, del d.P.R. n. 633 del 1972) e casi in cui, pur sussistendo un trasferimento civilistico di proprietà, non vi è «cessione di beni» imponibile (si pensi all’elenco contenuto nel comma 3 del medesimo art. 2);

5.3.1. una siffatta interpretazione del concetto è coerente con la disciplina unionale la quale, all’art. 14, par. 1, della direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006, riconduce la cessione di beni fiscalmente rilevante non alla disponibilità giuridica del bene, bensì «al trasferimento del potere di disporre di un bene materiale come proprietario» e, in ogni caso, alla «consegna materiale di un bene in base ad un contratto che prevede la locazione di un bene per un dato periodo o la vendita a rate di un bene, accompagnate dalla clausola secondo la quale la proprietà è normalmente acquisita al più tardi all’atto del pagamento dell’ultima rata» (par. 2, lett. b);

5.3.2. in applicazione di tali disposizioni è stato affermato che l’operazione realizzata con la conclusione di un contratto di leasing relativo ad un bene ammortizzabile che preveda o il trasferimento di proprietà al conduttore alla scadenza di tale contratto o che il conduttore disponga delle caratteristiche essenziali della proprietà, segnatamente che gli venga trasferita la maggior parte dei rischi e benefici inerenti alla proprietà legale del bene e che la somma delle rate, interessi inclusi, sia praticamente identica al valore venale dello stesso, va equiparata a un’operazione di acquisto di un bene di investimento (cfr. Corte di Giustizia, 2 luglio 2015, NLB Leasing; Corte di Giustizia, 16 febbraio 2012, Eon Aset Menidjmunt; per la giurisprudenza domestica, cfr., da ultimo, Sez. 5, 10 maggio 2019, n. 12457);

5.3.3. diversamente, ma in applicazione del medesimo principio, è stata esclusa la ricorrenza di una cessione di beni in presenza di un trasferimento della nuda proprietà di un bene ammortizzabile, in quanto all’acquisto della titolarità del bene e del potere di disposizione giuridica sullo stesso non si accompagna il trasferimento in via definitiva anche delle facoltà di godimento e di utilizzo del bene medesimo e, dunque, del potere di fatto sul bene, necessario per l’utilizzo dello stesso in funzione degli scopi dell’impresa (cfr. Sez. 5, 22 dicembre 2017, n. 30807);

5.3.4. assume dunque rilevanza, ai fini che qui interessano, l’acquisizione, in via definitiva, dei poteri di disposizione materiale sul bene tipici del proprietario, ossia il potere, tendenzialmente illimitato, di godimento e utilizzo, e dei relativi rischi (cd. disponibilità economica del bene);

5.4. in ordine al secondo aspetto (natura del bene) si è affermato, sempre ai fini che qui interessano, che, in assenza di utili indicazioni dalla disciplina in tema di IVA, sia nazionale, sia unionale, il concetto di bene ammortizzabile va individuato dalle disposizioni che in tema di imposte dirette ne recano una sommaria enunciazione con riferimento ai beni materiali o immateriali di cui è menzione negli artt. 102 e 103 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (cfr. Sez. 5, 4 dicembre 2015, n. 24779);

5.4.1. ancora secondo Sez. 5, n. 24779/2015 cit., sono beni ammortizzabili quelli che, da un lato, sono provvisti del requisito della strumentalità, in quanto destinati ad essere utilizzati nell’attività t dell’impresa e, perciò, inidonei alla produzione di un reddito autonomo rispetto a quello del complesso aziendale in cui siano inseriti, e, dall’altro, costituiscono immobilizzazioni materiali o immateriali, in relazione alla loro idoneità ad un uso durevole, che non si esaurisce nell’arco di un esercizio contabile, e al potere dell’imprenditore di disporne in quanto titolare del diritto di proprietà o di altro diritto reale di godimento;

5.4.2. la sola strumentalità del bene, dunque, non è sufficiente, attesa la non sovrapponibilità del concetto con quello di ammortizzabilità e la necessità che tale bene sia riconducibile alla categoria delle immobilizzazioni;

5.5. ciò posto, si osserva che nel caso in esame l’IVA si riferisce pacificamente non già all’acquisto di beni, bensì alla realizzazione di opere – per l’esattezza, opere di ampliamento eseguite su un immobile di terzi concesso in comodato -, in quanto tale esulante dalla previsione dell’art. 30, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, poiché non riconducibile alla fattispecie di acquisto di beni;

5.6. può, al riguardo, aggiungersi che la sussistenza delle condizioni per la detrazione dell’IVA non implica, di per sé, l’automatico riconoscimento del diritto al rimborso della stessa, in quanto l’innegabile centralità sistematica del principio di neutralità non impone necessariamente un vincolo di biunivocità delle situazioni, tale per cui non si possa dare l’una in difetto dell’altro e viceversa (in tal senso, invece, Sez. 5, 27 marzo 2015, n. 6200);

5.7. infatti, il diritto al rimborso costituisce una facoltà di natura eccezionale, riservata al contribuente in alternativa all’esercizio, in via ordinaria, del diritto della detrazione, prevista al fine di consentire agli operatori economici che effettuano operazioni di investimento un più veloce recupero dell’imposta assolta con riferimento ai beni acquistati ed evitare così un aggravio della propria posizione finanziaria.

6. In conclusione, la sentenza impugnata, nel sovrapporre i concetti di ammortizzabilità e strumentalità, non si conforma ai suesposti principi e deve pertanto essere cassata in accoglimento del ricorso; non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito ex art. 384, comma 2, c.p.c. con il rigetto dell’originaria domanda; la complessità della questione giustifica la compensazione delle spese dell’intero giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originaria domanda compensando tra le parti le spese dell’intero giudizio.

Roma, 2 ottobre 2019 e, in seconda riconvocazione, 9 giugno 2020.

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