CASSAZIONE

TIA e indebita applicazione dell’IVA: giurisdizione ordinaria per le controversie tra privati

Tributi – IVA su TIA richiesta dal concessionario a titolo di rivalsa – Omesso pagamento – Intimazione di pagamento – Giurisdizione tributaria – Esclusione – Rapporto di natura privatistica – Giurisdizione ordinaria

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 25519 del 12 novembre 2020 torna a pronunciarsi sul  dibattuto tema della Tariffa di Igiene Ambientale e, in particolare, sulle modalità di applicazione dell’IVA ed essenzialmente anche sull’individuazione della corretta giurisdizione  di competenza, per affermare che va ribadito l’orientamento già fissato da queste sezioni unite (con l’Ordinanza n. 2064/2011) in base al quale, in tema di IVA, spetta al giudice ordinario la giurisdizione in ordine alla domanda proposta dal consumatore finale nei confronti del professionista o dell’imprenditore che abbia effettuato la cessione del bene o la prestazione del servizio per ottenere la restituzione delle somme addebitategli in via di rivalsa. Il soggetto passivo dell’imposta è difatti esclusivamente colui che effettua la cessione di beni o la prestazione di servizi, sicché la controversia in questione non ha ad oggetto un rapporto tributario tra contribuente ed amministrazione finanziaria, ma un rapporto di natura privatistica tra soggetti privati.

La sentenza oggi in commento permette un sintetico riassunto sull’iter legislativo e giurisprudenziale intrapreso, non senza dubbi e contrasti operativi sulla Tariffa di Igiene Ambientale, che ancora oggi rappresenta un tema di cruciale importanza non solo perché pone rilevanti questioni giuridiche, ma soprattutto perché negli ultimi anni ha sollevato l’interesse di tutti i cittadini in lunghe contestazioni e difformi interpretazioni che solo da poco sembrano aver trovato un temporaneo assetto.

Sulla sua lenta evoluzione normativa ricordiamo, ad esempio, anche le difficili interpretazioni legate al passaggio da TIA1 a TIA2: in proposito, con l’ordinanza n. 16332/2018 il Supremo Collegio, procedendo alla disamina del quadro normativo di riferimento, con particolare attenzione alla disciplina che ha caratterizzato il passaggio ed alla giurisprudenza di legittimità formatasi nel tempo, ebbe a sottolineare che le sentenze emesse sono state tutte relative a fattispecie in cui veniva in rilievo solo la TIA 1 e non la TIA 2, rilevando che la prima (art. 40 del decreto Ronchi, n. 22/1997), non viene qualificata come prelievo tributario. Inoltre, a causa del lungo periodo trascorso tra la data di inizio fissata al primo gennaio 1999 e i continui differimenti normativi fino al primo gennaio 2009, si sono manifestate diversità sulla esatta qualificazione giuridica della tariffa, decifrata con la sentenza n. 238/2009, la quale ha sancito che la TIA 1 rappresenta una mera variante della TARSU, con la conseguenza della inapplicabilità dell’IVA: su tale principio si è formata e consolidata la giurisprudenza di legittimità.

Quanto alla TIA 2 (art. 238 del D.lgs. n. 152/2006- Codice dell’ambiente), essa rappresenta la tariffa integrata ambientale che agisce in modo analogo alla TIA 1, anche se è stata qualificata entrata non tributaria dal Dl 78/2010.

E a rendere ancora più incerta tale situazione ha contribuito, in parte, anche la giurisprudenza, che assumendo posizioni diverse nel succedersi delle pronunzie, ha sollevato importanti dibattiti circa la natura stessa della tariffa in questione e sulla questione processuale di competenza del Giudice Ordinario o delle Commissioni Tributarie.

Su tale questione è intervenuta, infatti, la Cassazione Civile, Sezioni Unite con la sentenza 2064/2011 che, accettando quanto precedentemente affermato dalla Corte Costituzionale con sentenza 238 del 2009, ha disposto che la controversia relativa al rimborso della maggiore imposta versata riguarda un rapporto di natura privatistica tra soggetti privati. È importante osservare come, in questa circostanza, è stata risolta l’ormai celeberrima questione processuale inerente la competenza del Giudice Ordinario o delle Commissioni Tributarie ad esprimersi sulla TIA.

Giova difatti ricordare come nel corso degli anni si sono affiancate due teorie: l’una tributaria, volta ad avallare la natura tributaria della tariffa, l’altra privatistica, fondata sulla sua natura di entrata privatistica. La presenza nella tariffa di numerose analogie con la tassa, la fonte legale di entrambe le entrate e, soprattutto, la totale assenza di rapporti contrattuali, rappresentano gli elementi posti a sostegno della teoria tributaria. Secondo quest’ultima, la TIA costituisce una prestazione patrimoniale imposta: è la legge che impone al cittadino il pagamento della tariffa ed è sempre la legge che impone l’obbligo al Comune di prestare il servizio. La presenza di molti aspetti di omogeneità e continuità tra la TIA e la Tarsu è anche l’elemento assunto a fondamento dalla Corte Costituzionale che, con sentenza n. 238 del 24 luglio 2009, dove attesta che la TIA, nonostante la denominazione di “tariffa”, è sostanzialmente una tassa, apre la strada del diritto al rimborso dell’IVA indebitamente versata da parte dei soggetti privati.

Con la sentenza n. 4895/2006 le Sezioni Unite affermano la competenza giurisdizionale delle Commissioni Tributarie in materia di TIA, come poi ribadito nella Sentenza n. 17526/2007. È evidente che chi sostiene la natura tributaria della tariffa afferma la presenza di un ente impositore in posizione di supremazia verso il contribuente e ne ravvisa tale predominanza nella potestà di accertamento, nell’emanazione di atti o provvedimenti amministrativi e, infine, nella capacità sanzionatoria.

La teoria privatistica, invece, attribuisce natura patrimoniale alla Tariffa; quest’ultima, infatti, è composta da una quota fissa e da una quota variabile e tende a garantire la totale copertura del costo del servizio configurando, dunque, un rapporto privatistico tra il privato e la Pubblica Amministrazione. Dunque, il presupposto privatistico comporterebbe l’instaurazione di un rapporto tra ente impositore e contribuente del tutto paritario, con la conseguenza che quella potestà di accertamento e di emanazione di atti e provvedimenti, ravvisabile nella teoria tributaria, qui verrebbe assolutamente meno.

Con R.M. 25/E del 5 febbraio 2003 e R.M. 250/E del 17 giugno 2008, l’Agenzia delle Entrate affermava che la TIA presenta natura civilistica, poiché si configura come corrispettivo per il servizio di raccolta di rifiuti urbani, ma nonostante la natura civilistica, ne ha giustificato l’assoggettabilità a IVA ribadendone la natura di “servizio”.

Con l’ordinanza n. 13894 del 15 giugno 2009 la Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, si è pronunciata a favore della natura di corrispettivo della TIA, sollevando questione di legittimità costituzionale dell’art. 3-bis del D.L. 203/2005, convertito con L. 248/2005, per violazione dell’art. 102, II comma, nella parte in cui “devolve alla giurisdizione del giudice tributario le controversie relative alla debenza del canone (tariffa) per lo smaltimento dei rifiuti urbani”.

Analogamente, con l’Ordinanza n. 3274 del 15 febbraio 2006, le Sezioni Unite Civili della Suprema Corte si erano espresse affermando la competenza del giudice ordinario nelle controversie riguardanti la nuova tariffa rifiuti. Da notare che da un lato il legislatore, con il D.L. 203/2005, convertito nella Legge 248/2005, ne ha affermato la natura tributaria, mentre dall’altro, quest’ultimo aspetto è stato posto in discussione proprio dalla Corte Costituzionale.

Altre due sentenze del 2008, la n. 6410 e la n. 335: quest’ultima ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2, secondo periodo, del D.lgs. 546/1992, come modificato dall’art. 3-bis, comma 1, lett. b del D.L. 203/2005, nella parte in cui stabilisce la natura di corrispettivo di prestazioni contrattuali della tariffa di depurazione, di cui all’art. 14, comma I della Legge Galli (L. 36/1994 ): “… Appartengono alla giurisdizione tributaria anche le controversie relative alla debenza del canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche”.

Mentre la Corte di Cassazione ha osservato come la TIA ha molto in comune con la disciplina inerente le prestazioni giudicate non tributarie dalla Corte Costituzionale. Tra i fattori che, infatti, contribuiscono a escluderne la natura tributaria si elencano: l’applicazione dell’IVA; la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio; la regolamentazione del contenzioso e la deficienza di una normativa ai fini dell’accertamento per l’eventuale e successiva applicazione di sanzioni.

A far luce sulla questione processuale di cui sopra è intervenuta la sentenza 2064/2011, che ha cercato di porre fine alle costanti oscillazioni giurisprudenziali, fissando che la controversia in tema di IVA spetta al Giudice Ordinario: “… Si tratta, in ogni caso, di una controversia tra privati, alla quale “resta estraneo l’esercizio del potere impositivo sussumibile nello schema potestà – soggezione, proprio del rapporto tributario” (Cass. SS.UU. 15031/2009). Né rileva la circostanza che il giudizio sulla richiesta di rimborso dell’iva implichi la necessità di accertare se l’imposta fosse dovuta e quale sia la natura dell’obbligo di pagare la TIA. Infatti, nelle controversie tra privati, che abbiano ad oggetto la richiesta di rimborso di una imposta che si assume essere stata indebitamente pretesa dalla controparte (non identificabile in uno dei soggetti di cui al D. Lgs. n. 546 del 1992, art. 10), il giudice ordinario competente ha sempre il potere “di sindacare in via incidentale la legittimità dell’atto impositivo ove sia presupposto e di disapplicarlo, ovvero di disporre la sospensione del giudizio, ai sensi dell’art. 295 c.p.c., in caso di contemporanea pendenza del giudizio tributario” (Cass. SS.UU. 15032/2009).

Da ricordare, a tal proposito, anche la sentenza della Cass. SS.UU. Civ. n. 16158/2002, nella quale si legge che: “appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario, e non a quella delle commissioni tributarie, la controversia promossa, al fine di ottenere il rimborso di quanto versato a titolo di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, promossa da un soggetto privato nei confronti di un altro soggetto privato, ritenuto il vero debitore, atteso che nei rapporti tra privati non può porsi mai una questione di giurisdizione e che le questioni concernenti l’effettiva titolarità passiva dell’obbligazione tributaria e l’esattezza della somma pretesa ben possono essere decise in via incidentale nell’ambito del rapporto tra le parti private, senza che la relativa statuizione possa far stato nei confronti dell’ente locale impositore”.

In conclusione, secondo l’attuale orientamento della Corte di Cassazione la giurisdizione appartiene al Giudice Ordinario poiché si tratta di un rapporto di natura privatistica, ravvisandosi semmai la fattispecie dell’indebito arricchimento di cui all’art. 2041 c.c. in tutte quelle ipotesi in cui il soggetto irrogante la TIA non procede alla restituzione dell’IVA indebitamente versata. Infatti, la norma de qua annovera, accanto all’incremento patrimoniale, anche il mancato detrimento patrimoniale quale vantaggio che un soggetto può trarre nei confronti di un altro in assenza di una valida causa giustificativa.

Sul punto anche la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea è concorde nel ritenere l’azione, volta al rimborso dell’imposta illegittimamente versata dal fruitore dei beni o dei servizi nel confronti del fornitore, di natura civilistica (causa C-427/2010 del 15 dicembre 2011 e causa C-94/2019 del 20 ottobre 2011).  Infine giova rammentare la Sent.  n. 27437/2017 dove le SS.UU. hanno definitivamente stabilito che: “In tema di IVA, spetta al giudice ordinario la giurisdizione in ordine alla domanda proposta dal consumatore finale nei confronti del professionista o dell’imprenditore che abbia effettuato la cessione del bene o la prestazione del servizio per ottenere la restituzione delle somme addebitategli in via di rivalsa”.

In base a tale principio, enunciato con l’ordinanza n. 2064 del 28 gennaio 2011, le Sezioni Unite della Cassazione hanno dichiarato infondato il motivo di ricorso avanzato da una società per azioni operante nel settore dell’igiene urbana. La Suprema Corte ha affermato, infatti, che le controversie relative all’indebita applicazione dell’IVA alla TIA non hanno a oggetto un rapporto tributario tra contribuente e Amministrazione finanziaria, ma un rapporto di natura privatistica tra soggetti privati.

Tanto premesso torniamo al caso in dibattimento, che vede la controversia con cui un contribuente richiede a una società concessionaria della riscossione dei tributi locali la restituzione della somma corrisposta a titolo di IVA in occasione del pagamento della Tariffa di Igiene Ambientale. La giustizia tributaria adita si pronuncia in modo difforme, ritenendo infatti la CTP che la giurisdizione competente sia quella tributaria, accogliendo così l’interpretazione fornita dalla Cassazione con la pronunzia n. 14903/2010, nella quale si ricordava che la tariffa non costituisce una entrata patrimoniale di diritto privato, ma mera variante della TARSU, della quale conserva la qualifica di tributo.

Di diverso avviso i giudici tributari regionali che, investiti dal successivo ricorso, dichiarando il proprio difetto di giurisdizione, come da Cass. Sez. UU, n. 2064/2011, ritengono la controversia spettante alla giurisdizione ordinaria, perché il soggetto passivo dell’imposta è esclusivamente colui che effettua la cessione dei beni o la prestazione di servizi (quindi la società concessionaria) e che non ha ad oggetto un rapporto tributario tra contribuente ed Amministrazione, ma un rapporto di natura privatistica fra privati.

Il cittadino, così, ricorre avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale proponendo ricorso in Cassazione affidato a due motivi di doglianza, essenzialmente rintracciabili in relazione all’art. 360, comma 1, n. 1, e c. 3 c.p.c. (comma 1, per motivi attinenti alla giurisdizione e comma 3, per violazione o falsa applicazione di norme di diritto).

I Supremi Giudici hanno ritenuto infondati i motivi di ricorso e a fronte dell’attuale prevalente interpretazione giurisprudenziale, hanno ritenuto che: “… La controversia sorta in merito alla richiesta, rivolta dal contribuente al concessionario della riscossione dei tributi locali, avente ad oggetto la restituzione della somma corrisposta, a titolo di IVA, in occasione del pagamento della Tariffa di igiene ambientale (TIA), spetta difatti alla giurisdizione ordinaria, perché, come chiarisce Cass. Sez. U, n. 2064 del 2011, soggetto passivo dell’imposta è esclusivamente colui che effettua la cessione dei beni o la prestazione di servizi (quindi il concessionario) e la controversia in questione non ha ad oggetto un rapporto tributario, tra contribuente ed Amministrazione, ma un rapporto di natura privatistica fra privati, che comporta un accertamento, meramente incidentale, in ordine alla debenza dell’imposta contestata. Ai fini che rilevano in questa sede, preme evidenziare che le Sezioni Unite da ultimo citate sanciscono il principio di cui innanzi chiarendo che la controversia (nella specie, quella che vede un contribuente richiedere al concessionario la restituzione della somma corrisposta a titolo di IVA su TIA) ha ad oggetto la legittimità del diritto di rivalsa esercitato dalla concessionaria. Esse precisano altresì che «“il fatto che il diritto alla rivalsa sia previsto da una norma tributaria non trasforma il rapporto tra soggetti privati in un rapporto tributario, di tipo pubblicistico, che implica invece l’esercizio del potere impositivo nell’ambito di un rapporto sussumibile allo schema potestà-soggezione”» (le Sezioni Unite fanno riferimento specifico anche a Cass. Sez. U, 26/06/2009, n. 15031, Rv. 608816-01). In definitiva, sempre per le Sezioni Unite in argomento, “se manca un soggetto investito di potestas impositiva intesa in senso lato manca anche il rapporto tributario, cosi come se manca un provvedimento che sia espressione di tale potere non si configura la speciale lite tributaria che, per definizione, nasce dal contrasto rispetto ad una concreta ed autoritativa pretesa impositiva”.

Il medesimo iter logico-giuridico è ripreso e proseguito da Cass. Sez. U, n. 27437 del 2017, in fattispecie sostanzialmente sovrapponibile a quella di cui alle citate Sezioni Unite del 2011 (richiesta di rimborso di IVA versata su TIA rivolta al concessionario della riscossione dei tributi locali). Nel 2017 difatti le Sezioni Unite ribadiscono l’orientamento in base al quale, in tema di IVA, spetta al giudice ordinario la giurisdizione in ordine alla domanda proposta dal consumatore finale nei confronti del professionista o dell’imprenditore che abbia effettuato la cessione del bene o la prestazione del servizio per ottenere la restituzione delle somme addebitategli in via di rivalsa. Il soggetto passivo dell’imposta, difatti, è esclusivamente colui che effettua la cessione di beni o la prestazione di servizi; sicché la controversia in questione non ha ad oggetto un rapporto tributario tra contribuente ed amministrazione finanziaria, ma un rapporto di natura privatistica tra soggetti privati, che comporta un mero effettua la cessione di beni o la prestazione di servizi. Ne consegue che la detta controversia non ha ad oggetto un rapporto tributario, tra contribuente ed amministrazione finanziaria, bensì un rapporto di natura privatistica tra soggetti privati, che comporta un mero accertamento incidentale in ordine alla debenza ed all’ammontare dell’imposta applicata in misura contestata. Il che vale anche quando il debito IVA sia totalmente contestato, come appunto nell’ipotesi di indebita applicazione di tale imposta alla tariffa comunale di igiene ambientale (TIA). Trattasi difatti, in ogni caso, di una controversia tra privati, alla quale è estraneo l’esercizio del potere impositivo sussumibile nello schema potestà-soggezione, proprio del rapporto tributario (principio ribadito anche con riguardo alla controversia insorta tra il prestatore ed il destinatario della prestazione, in ordine alla pretesa rivalsa dell’IVA esposta in fattura, si vedano a tal riguardo, Cass. Sez. U, 31/05/2017, n. 13721, Rv. 644368-02, e Cass. Sez. U. 04/04/2016, n. 6451, Rv. 639112-01). Le Sezioni Unite n. 27437 del 2017, infine, evidenziano che anche la giurisprudenza unionale non dubita che l’azione per il rimborso dell’imposta illegittimamente versata, esercitata dal fruitore dei beni o dei servizi nei confronti del fornitore, sia un’azione di ripetizione d’indebito di rilevanza civilistica (si vedano, proprio in tema di IVA, Corte giust. 15 dicembre 2011, causa C-427/10, Banca popolare antoniana veneta, punto 42, e, in tema di accise, Corte giust. 20 ottobre 2011, causa C-94/10, Danfoss) e che, sul piano sistematico, il principio si coordina con quello reiteratamente affermato con riguardo alle controversie tra sostituto d’imposta e sostituito. Con riferimento a tale ultimo assunto, difatti, le controversie relative al legittimo e corretto esercizio del diritto di rivalsa delle ritenute alla fonte versate direttamente dal sostituto, volontariamente o coattivamente, non sono attratte alla giurisdizione del giudice tributario ma rientrano in quella del giudice ordinario. Ciò perché si tratta di diritto esercitato dal sostituto verso il sostituito nell’ambito di un rapporto di tipo privatistico, cui resta estraneo l’esercizio del potere impositivo sussumibile nello schema potestà-soggezione, proprio del rapporto tributario, e nelle quali manca di regola un atto qualificato rientrante nella tipologia contemplata dall’elenco contenuto nell’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, anche nell’interpretazione estensiva che se ne fornisce (si veda, in particolare, oltre alla citata Cass. Sez. U, n. 27437 del 2017, anche Cass. Sez. U, 15/09/2017, n. 21523, in motivazione).

Le conclusioni di cui innanzi, infine, non solo non contrastano ma sono ulteriormente confortate da Cass. Sez. U, 11/2017, n. 17113, Rv. 644921-01, con la quale questa Corte ha difatti riconosciuto la giurisdizione tributaria in ordine alla controversia tra utente ed ente addetto alla riscossione concernente l’addizionale provinciale sulla tariffa integrata ambientale (c.d. TIA2) proprio in ragione della natura tributaria di questa.

2.4. Orbene, il principio in materia di giurisdizione di cui ai citati arresti delle Sezioni Unite del 2011 e del 2017, benché enunciato con riferimento a controversia inerente la richiesta di restituzione di IVA su TIA rivolta (dal contribuente) al concessionario della riscossione dei tributi locali agente in rivalsa, è suscettibile di essere applicato, per medesimezza di ratio, anche alla presente controversia, inerente l’omesso versamento dell’IVA su TIA richiesta (al contribuente) dal concessionario in rivalsa.

2.4.1. Al pari della prima tipologia di controversia, difatti, anche la seconda ha ad oggetto la legittimità del diritto di rivalsa esercitato dal concessionario. Per tale controversia, al pari della prima, il fatto che il diritto alla rivalsa sia previsto da una norma tributaria non trasforma il rapporto tra soggetti privati in un rapporto tributario, di tipo pubblicistico, che implica invece l’esercizio del potere impositivo nell’ambito di un rapporto sussumibile allo schema potestà soggezione.

Nelle controversie come quella di cui alla fattispecie concreta, quindi, mancando un soggetto investito di potestas impositiva (con riferimento all’IVA) intesa in senso lato, manca anche il rapporto tributario, con la conseguenza che, mancando un provvedimento che sia espressione di tale potere, non si configura la speciale lite tributaria che, per definizione, nasce dal contrasto rispetto ad una concreta ed autoritativa pretesa impositiva.

2.4.2. In entrambi i casi, dunque, il concessionario non agisce, con riferimento all’IVA su TIA, quale soggetto impositore ma solo in rivalsa ex art. 18 del d.P.R. n. 633 del 1972 (nei confronti del soggetto inciso dall’imposta ma non soggetto passivo di essa).

Sicché, sempre in entrambi i casi, trattasi di controversie tra privati, non rientranti negli artt. 2, 10 e 19 del d.lgs. n. 546 del 1992.

2.4.3. A quanto innanzi consegue altresì l’irrilevanza della considerazioni svolte dal ricorrente a sostegno del ricorso e relative alla sussistenza, nella specie, di un atto impugnabile dinanzi al Giudice tributario ed al fatto che il concessionario rientri nel novero dei soggetti contemplati dall’art. 10 del d.lgs. n. 546/92, essendosi difatti, come detto, al cospetto non già dell’impugnazione di un atto impositivo bensì di una controversia tra privati inerente il diritto di rivalsa”.

Corte di Cassazione – Sentenza 12 novembre 2020, n. 25519

sul ricorso iscritto al n. 16703/2014 R.G. proposto da :

B. J., nato in San Pancrazio Parmense (PR) il 25 settembre 1931, rappresentato e difeso dall’Avv. Gaetano Ciancio

– ricorrente –

contro I. A. s.p.a. (già I. E. s.p.a. ed in precedenza E. s.p.a.), con sede legale in Piacenza Strada Borgoforte n. 22, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Cecilia Tanzi e dall’Avv. Guidetti Vittorio,con domicilio eletto presso l’Avv. Stefano Fiorini (con studio in Roma, Largo Trionfale n. 7);

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale per l’Emilia Romagna n. 146/03/2013, pronunciata il 6 dicembre 2013 e depositata il 13 dicembre 2013;

udita la relazione svolta nell’udienza pubblica del 13 febbraio 2020 dal Consigliere Fabio Antezza;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Paola Mastroberardino, che ha concluso per la rimessione alle Sezioni Unite;

udito, per il controricorrente l’Avv. Stefano Fiorini (per delega dell’Avv. Cecilia Tanzi), che ha insistito nel controricorso. 

Fatti di causa

1. J.B. ricorre, con due motivi, per la cassazione della sentenza, indicata in epigrafe, di accoglimento dell’appello proposto da I.E.  s.p.a. (ora I.A. s.p.a.) avverso la sentenza n. 115/07/2010 emessa dalla CTP di Parma che, a sua volta, aveva accolto l’impugnazione del preavviso di sospensione forniture e contestuale intimazione di pagamento dell’importo di 43,09 euro a titolo di IVA sulla TIA (Tariffa d’Igiene Ambientale), notificatogli dal gestore del servizio (E. s.p.a. poi incorporata in I.E. s.p.a. ed ora I.A. s.p.a.). Nella specie trattavasi di IVA relativa ad un imponibile TIA pari ad euro 430,93 indicata in fattura dal gestore del servizio ma non versata da J.B.  il quale aveva corrisposto solo il dovuto a titolo di TIA e non anche l’IVA, ritenendola non dovuta in forza di Corte cost. n. 238 del 2009.

2. La CTP accolse il ricorso, previamente riconoscendo la giurisdizione del Giudice tributario in forza di quanto statuito da Cass. Sez. U, 21/06/2010, n. 14903, Rv. 613871-01, per la quale spettano alla giurisdizione tributaria le controversie aventi ad oggetto la debenza della tariffa di igiene ambientale (TIA), in quanto, come evidenziato anche da Corte cost. n. /del 2010, tale tariffa non costituisce una entrata patrimoniale di diritto privato ma mera variante della TARSU, disciplinata dal d.P.R. 15 novembre 1993, n. 507, della quale conserva la qualifica di tributo (in senso conforme anche le successive Cass. Sez. U, 05/12/2011, n. 25929, Rv. 620087-01; Cass. Sez. U, 12/11/2015, n. 23114, Rv. 637137-01; Cass. Sez. U, 20/12/2016, n. 26268, Rv. 641797-01, e, sostanzialmente, Cass. Sez. U, 10/0472018, n. 8822, Rv. 647914- 01)

3. La CTR, adita da J. B., con la sentenza oggetto di attuale ricorso per cassazione riformò la statuizione di primo grado dichiarando il proprio difetto di giurisdizione.

Essa, in particolare, ritenendo sostanzialmente trattarsi di esercizio da parte del gestore (soggetto passivo IVA) del diritto di rivalsa nei confronti dell’utente finale, mosse da Cass. Sez. U, 28/01/2011, n. 2064, Rv. 616311-01 (e dalle altre statuizioni espressamente considerate da tale decisione).

Per la statuizione da ultimo indicata, in particolare, la controversia con cui un contribuente richiede ad una società concessionaria della riscossione dei tributi locali la restituzione della somma corrisposta, a titolo di IVA, in occasione del pagamento della Tariffa di igiene ambientale (TIA), spetta alla giurisdizione ordinaria, perché soggetto passivo dell’imposta è esclusivamente colui che effettua la cessione dei beni o la prestazione di servizi (quindi la società concessionaria) e la controversia in questione non ha ad oggetto un rapporto tributario tra contribuente ed Amministrazione, ma un rapporto di natura privatistica fra privati, che comporta un accertamento, meramente incidentale, in ordine alla debenza dell’imposta contestata.

4. Contro la sentenza d’appello J. B. ricorre con due motivi, I.A. s.p.a. si difende con controricorso, sostenuto da memoria, ed all’odierna udienza le parti concludono nei termini di cui in epigrafe.

Ragioni della decisione

1. Il ricorso non merita accoglimento.

2. I due motivi di ricorso (B1 e B2) sono suscettibili di trattazione congiunta, in ragione della connessione delle questioni inerenti i relativi oggetti.

2.1. Con entrambe le cesure, ancorché la prima (B1) in relazione all’art. 360, comma 1, n. 1, c.p.c. e la seconda in relazione al n. 3 dello stesso comma e sotto il profilo degli atti impugnabili innanzi al Giudice tributario, sostanzialmente il ricorrente critica la statuizione impugnata ritenendo sussistente la giurisdizione del Giudice tributario.

La fattispecie in esame, caratterizzata dall’intimazione di pagamento dell’IVA su TIA, a detta del ricorrente, non sarebbe sovrapponibile a quella di cui alla citata Cass. Sez. U, n. 2064 del 2011, inerente invece un’ipotesi di richiesta di restituzione di una somma già riscossa a titolo di IVA su TIA. Nella specie, sostanzialmente, secondo il ricorrente L’IVA concorrerebbe alla formazione dell’importo dovuto a titolo di TIA ed il concessionario del servizio, proprio in quanto tale, avrebbe emesso un atto, quello impugnato, avente natura impositiva e quindi impugnabile ai sensi degli artt. 2, 10 e 19 del d.lgs. n. 546 del 1992.

Per converso, la controricorrente sostiene le argomentazioni della CTR, ritenendo le due fattispecie di cui innanzi sostanzialmente non dissimili e comunque per entrambe valevole il principio sancito da Cass. Sez. U, n. 2064 del 2011, per medesimezza di ratio (in controricorso si qualifica il preavviso di sospensione con intimazione di pagamento prima, a pag. 2, quale preavviso con addebito in via di rivalsa IVA, ex art. 18 del d.P.R. n. 633 del 1972, e successivamente, a pag. 8, quale «mera comunicazione» effettuata con «mera raccomandata»).

2.2. I motivi in esame sono infondati, trovando applicazione, anche con riferimento alla fattispecie concreta (caratterizzata dall’omesso versamento dell’IVA su TIA richiesta dal concessionario in rivalsa), principi e ratio sottesi a Cass. Sez. U, n. 2064 del 2011, cit., ed alla successiva sostanzialmente conforme Cass. Sez. U, 20/11/2017, n. 27437, pronunciatesi con riferimento ad ipotesi di richiesta di restituzione di IVA su TIA.

2.3. La controversia sorta in merito alla richiesta, rivolta dal contribuente al concessionario della riscossione dei tributi locali, avente ad oggetto la restituzione della somma corrisposta, a titolo di IVA, in occasione del pagamento della Tariffa di igiene ambientale (TIA), spetta difatti alla giurisdizione ordinaria, perché, come chiarisce Cass. Sez. U, n. 2064 del 2011, soggetto passivo dell’imposta è esclusivamente colui che effettua la cessione dei beni o la prestazione di servizi (quindi il concessionario) e la controversia in questione non ha ad oggetto un rapporto tributario, tra contribuente ed Amministrazione, ma un rapporto di natura privatistica fra privati, che comporta un accertamento, meramente incidentale, in ordine alla debenza dell’imposta contestata.

Ai fini che rilevano in questa sede, preme evidenziare che le Sezioni Unite da ultimo citate sanciscono il principio di cui innanzi chiarendo che la controversia (nella specie, quella che vede un contribuente richiedere al concessionario la restituzione della somma corrisposta a titolo di IVA su TIA) ha ad oggetto la legittimità del diritto di rivalsa esercitato dalla concessionaria. Esse precisano altresì che «“il fatto che il diritto alla rivalsa sia previsto da una norma tributaria non trasforma il rapporto tra soggetti privati in un rapporto tributario, di tipo pubblicistico, che implica invece l’esercizio del potere impositivo nell’ambito di un rapporto sussumibile allo schema potestà-soggezione”» (le Sezioni Unite fanno riferimento specifico anche a Cass. Sez. U, 26/06/2009, n. 15031, Rv. 608816-01). In definitiva, sempre per le Sezioni Unite in argomento, «“se manca un soggetto investito di potestas impositiva intesa in senso lato manca anche il rapporto tributario, cosi come se manca un provvedimento che sia espressione di tale potere non si configura la speciale lite tributaria che, per definizione, nasce dal contrasto rispetto ad una concreta ed autoritativa pretesa impositiva”».

Il medesimo iter logico-giuridico è ripreso e proseguito da Cass. Sez. U, n. 27437 del 2017, in fattispecie sostanzialmente sovrapponibile a quella di cui alle citate Sezioni Unite del 2011 (richiesta di rimborso di IVA versata su TIA rivolta al concessionario della riscossione dei tributi locali).

Nel 2017 difatti le Sezioni Unite ribadiscono l’orientamento in base al quale, in tema di IVA, spetta al giudice ordinario la giurisdizione in ordine alla domanda proposta dal consumatore finale nei confronti del professionista o dell’imprenditore che abbia effettuato la cessione del bene o la prestazione del servizio per ottenere la restituzione delle somme addebitategli in via di rivalsa. Il soggetto passivo dell’imposta, difatti, è esclusivamente colui che effettua la cessione di beni o la prestazione di servizi; sicché la controversia in questione non ha ad oggetto un rapporto tributario tra contribuente ed amministrazione finanziaria, ma un rapporto di natura privatistica tra soggetti privati, che comporta un mero effettua la cessione di beni o la prestazione di servizi. Ne consegue che la detta controversia non ha ad oggetto un rapporto tributario, tra contribuente ed amministrazione finanziaria, bensì un rapporto di natura privatistica tra soggetti privati, che comporta un mero accertamento incidentale in ordine alla debenza ed all’ammontare dell’imposta applicata in misura contestata. Il che vale anche quando il debito IVA sia totalmente contestato, come appunto nell’ipotesi di indebita applicazione di tale imposta alla tariffa comunale di igiene ambientale (TIA). Trattasi difatti, in ogni caso, di una controversia tra privati, alla quale è estraneo l’esercizio del potere impositivo sussumibile nello schema potestà-soggezione, proprio del rapporto tributario (principio ribadito anche con riguardo alla controversia insorta tra il prestatore ed il destinatario della prestazione, in ordine alla pretesa rivalsa dell’IVA esposta in fattura, si vedano a tal riguardo, Cass. Sez. U, 31/05/2017, n. 13721, Rv. 644368-02, e Cass. Sez. U. 04/04/2016, n. 6451, Rv. 639112-01).

Le Sezioni Unite n. 27437 del 2017, infine, evidenziano che anche la giurisprudenza unionale non dubita che l’azione per il rimborso dell’imposta illegittimamente versata, esercitata dal fruitore dei beni o dei servizi nei confronti del fornitore, sia un’azione di ripetizione d’indebito di rilevanza civilistica (si vedano, proprio in tema di IVA, Corte giust. 15 dicembre 2011, causa C-427/10, Banca popolare antoniana veneta, punto 42, e, in tema di accise, Corte giust. 20 ottobre 2011, causa C-94/10, Danfoss) e che, sul piano sistematico, il principio si coordina con quello reiteratamente affermato con riguardo alle controversie tra sostituto d’imposta e sostituito. Con riferimento a tale ultimo assunto, difatti, le controversie relative al legittimo e corretto esercizio del diritto di rivalsa delle ritenute alla fonte versate direttamente dal sostituto, volontariamente o coattivamente, non sono attratte alla giurisdizione del giudice tributario ma rientrano in quella del giudice ordinario. Ciò perché si tratta di diritto esercitato dal sostituto verso il sostituito nell’ambito di un rapporto di tipo privatistico, cui resta estraneo l’esercizio del potere impositivo sussumibile nello schema potestà-soggezione, proprio del rapporto tributario, e nelle quali manca di regola un atto qualificato rientrante nella tipologia contemplata dall’elenco contenuto nell’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, anche nell’interpretazione estensiva che se ne fornisce (si veda, in particolare, oltre alla citata Cass. Sez. U, n. 27437 del 2017, anche Cass. Sez. U, 15/09/2017, n. 21523, in motivazione).

Le conclusioni di cui innanzi, infine, non solo non contrastano ma sono ulteriormente confortate da Cass. Sez. U, 11/2017, n. 17113, Rv. 644921-01, con la quale questa Corte ha difatti riconosciuto la giurisdizione tributaria in ordine alla controversia tra utente ed ente addetto alla riscossione concernente l’addizionale provinciale sulla tariffa integrata ambientale (c.d. TIA2) proprio in ragione della natura tributaria di questa.

2.4. Orbene, il principio in materia di giurisdizione di cui ai citati arresti delle Sezioni Unite del 2011 e del 2017, benché enunciato con riferimento a controversia inerente la richiesta di restituzione di IVA su TIA rivolta (dal contribuente) al concessionario della riscossione dei tributi locali agente in rivalsa, è suscettibile di essere applicato, per medesimezza di ratio, anche alla presente controversia, inerente l’omesso versamento dell’IVA su TIA richiesta (al contribuente) dal concessionario in rivalsa.

2.4.1. Al pari della prima tipologia di controversia, difatti, anche la seconda ha ad oggetto la legittimità del diritto di rivalsa esercitato dal concessionario. Per tale controversia, al pari della prima, il fatto che il diritto alla rivalsa sia previsto da una norma tributaria non trasforma il rapporto tra soggetti privati in un rapporto tributario, di tipo pubblicistico, che implica invece l’esercizio del potere impositivo nell’ambito di un rapporto sussumibile allo schema potestà soggezione.

Nelle controversie come quella di cui alla fattispecie concreta, quindi, mancando un soggetto investito di potestas impositiva (con riferimento all’IVA) intesa in senso lato, manca anche il rapporto tributario, con la conseguenza che, mancando un provvedimento che sia espressione di tale potere, non si configura la speciale lite tributaria che, per definizione, nasce dal contrasto rispetto ad una concreta ed autoritativa pretesa impositiva.

2.4.2. In entrambi i casi, dunque, il concessionario non agisce, con riferimento all’IVA su TIA, quale soggetto impositore ma solo in rivalsa ex art. 18 del d.P.R. n. 633 del 1972 (nei confronti del soggetto inciso dall’imposta ma non soggetto passivo di essa).

Sicché, sempre in entrambi i casi, trattasi di controversie tra privati, non rientranti negli artt. 2, 10 e 19 del d.lgs. n. 546 del 1992.

2.4.3. A quanto innanzi consegue altresì l’irrilevanza della considerazioni svolte dal ricorrente a sostegno del ricorso e relative alla sussistenza, nella specie, di un atto impugnabile dinanzi al Giudice tributario ed al fatto che il concessionario rientri nel novero dei soggetti contemplati dall’art. 10 del d.lgs. n. 546/92, essendosi difatti, come detto, al cospetto non già dell’impugnazione di un atto impositivo bensì di una controversia tra privati inerente il diritto di rivalsa.

2.4.4. Non è peraltro sostenibile quanto argomentato dal ricorrente circa il fatto che nella specie il concessionario avrebbe richiesto il pagamento di un importo a titolo di TIA (inglobante l’IVA), in quanto, come precisato dalla citata Corte Cost. 239 del 2009, la TIA è un tributo con conseguente non debenza dell’IVA. Sicché, argomentare diversamente, implicherebbe ritenere che nella specie l’IVA (su TIA) perderebbe la sua natura di tributo (autonomo) per essere inglobata nella TIA, con violazione anche dell’artt. 53 cost.

3. In conclusione, il ricorso è rigettato in applicazione del seguente principio di diritto, enunciato ex art. 384 c.p.c.

«La controversia con la quale un contribuente contesta la debenza dell’IVA su TIA richiesta dal concessionario della riscossione dei tributi locali, con oggetto quindi la legittimità del diritto di rivalsa, spetta alla giurisdizione ordinaria in quanto soggetto passivo dell’imposta è esclusivamente colui che effettua la cessione dei beni o la prestazione di servizi (quindi il concessionario) e la controversia in questione non ha ad oggetto un rapporto tributario tra contribuente ed Amministrazione bensì un rapporto di natura privatistica fra privati, che comporta un accertamento, meramente incidentale, in ordine alla debenza dell’imposta contestata».

4. Le spese relative al presente giudizio di legittimità sono compensate, in ragione dell’evidenziato consolidarsi del principio in seno alle Sezioni Unite ma con riferimento alla descritta fattispecie caratterizzata da controversia inerente richiesta di restituzione della somma già versata a titolo di IVA.

4.1. Stante il tenore della pronuncia (di rigetto del ricorso), ai sensi del comma 1 quater dell’art. 13, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (aggiunto dall’art. 1, comma 17, della I. 24 dicembre 2012, n. 228), deve darsi atto della sussistenza dei presupposti, processuali, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto (circa i limiti di detta attestazione, da riferirsi esclusivamente al presupposto processuale della tipologia di pronuncia adottata e non al presupposto sostanziale della debenza del contributo del cui raddoppio trattasi, si veda Cass. Sez. U, 20/02/20, n. 4315).

P.Q.M.

rigetta il ricorso, dispone la compensazione delle spese relative al presente giudizio di legittimità, dando atto, ai sensi del comma 1 quater dell’art. 13, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, della sussistenza dei presupposti, processuali, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 13 febbraio 2020.

Desidero ricevere in abbonamento gratuito il vostro periodico FiscotoDay