CASSAZIONE

Scudo fiscale con residenza fittizia: anche i Vip evadono le tasse

Reati Tributari – Irpef, Irap e Iva – Accertamento – Omessa presentazione delle dichiarazioni – Fittizio trasferimento della residenza nel Regno Unito – Scudo fiscale – Dichiarazioni riservate ex art. 13-bis, D.L. n. 78 del 2009 – Opponibilità – Provvedimento di diniego – Legittimità

La Corte di Cassazione  con quattro sentenze del 2020, la n. 21694, n. 21695, n. 21696 e n. 21697 dell’8 ottobre – quella che portiamo in commento – è intervenuta sui diversi  temi posti in relazione al cosiddetto scudo fiscale sollevati dai ricorsi dello stesso contribuente per respingere quasi integralmente, con accurate motivazioni, l’appello di un noto artista dello spettacolo affermando il seguente principio di diritto: “… In materia di scudo fiscale, la presentazione della dichiarazione riservata di cui all’art. 13 bis d.l. n. 78 del 2009, conv. dalla legge n. 102 del 2009, non è preclusiva del potere di accertamento tributario ove il contribuente, alla data di presentazione della stessa, avesse già, ai sensi dell’art. 14, comma 7, d.l. n. 350 del 2001, conv. dalla legge n. 409 del 2001, “formale conoscenza” dell’avvio dell’attività di accertamento; tale condizione non si esaurisce nella “formale notifica” di un atto ma ricorre anche nel caso del compimento di attività – quali, tra l’altro, gli accessi, le ispezioni, le verifiche, la partecipazione al contraddittorio, l’invio e la risposta a questionari, le acquisizioni probatorie ed istruttorie – che abbiano coinvolto il contribuente e si siano tradotte in atti del procedimento specifici e di contenuto pertinente – la cui valutazione è di competenza del giudice di merito – all’accertamento medesimo”. 

Al contribuente l’Agenzia delle entrate aveva contestato con accertamenti le dichiarazioni dei redditi relativi a IRPEF e IRAP, valutando un’evasione stimata in circa sei milioni di euro, compiuta anche attraverso un fittizio trasferimento della residenza fiscale in Gran Bretagna per beneficiare di un regime fiscale più favorevole, e servendosi inoltre di diverse società estere che avevano consociati in paradisi fiscali ove far confluire i guadagni maturati con la propria attività professionale e autoriale. Nella sentenza gemella, la n. 21695/2020, si legge infatti che “… Non sussiste, in primo luogo, l’eccepita omessa pronuncia avendo la CTR (che a pag. 12 aveva riportato il motivo di specifica doglianza dell’appellante) esplicitamente rigettato le «eccezioni attinenti la residenza nel Regno Unito sollevate dal contribuente», statuizione corredata anche dell’esplicito riferimento «a quanto previsto dell’art. 4 della Convenzione stipulata con l’Italia». Né può ritenersi tale locuzione riferita alla questione del computo dei giorni in Italia, pur anche oggetto di attenzione da parte della CTR, trattandosi di profilo estraneo alla disposizione convenzionale e pertinente, invece, all’applicazione dell’art. 2 Tuir. 12.2. Parimenti infondata è la denunciata violazione dell’art. 4 della convenzione Italia/UK. La norma, introdotta con la L. 5 novembre 1990, n. 329, prevede: «(1) Ai fini della presente Convenzione, l’espressione “residente di uno Stato contraente” designa ogni persona che, in virtù della legislazione di detto Stato, è assoggettata a imposta nello stesso Stato a motivo del suo domicilio, della sua residenza, della sede della sua direzione o di ogni altro criterio di natura analoga. Tuttavia, tale espressione non comprende le persone che sono imponibili in questo Stato contraente soltanto per le fonti ivi situate». Il paragrafo (2) esordisce «Quando, in base alle disposizioni del paragrafo (1) del presente articolo, una persona è considerata residente di entrambi gli Stati contraenti, la sua situazione è determinata in conformità alle seguenti disposizioni: [criteri]». Orbene, il contribuente era iscritto come resident non domiciled condizione che, contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, comporta che la tassazione include solo i redditi che siano prodotti in loco e, ove sia stata operata la relativa opzione, quei redditi che ivi siano rimpatriati (cd. remittance basis principle), circostanza questa, tuttavia, neppure allegata dallo stesso ricorrente (il quale, anzi, risulta aver dichiarato, e sottoposto ivi a tassazione, solo redditi da attività di lavoro dipendente lì svolta), e tale, dunque, da rendere privo di ogni rilievo lo stesso parere della IBFD)”. 

Inoltre, per quanto attiene alle partecipazioni fittizie delle società estere nelle azioni del contribuente, peraltro motivo di lagnanza nei confronti della decisione della CTR, si segnala che anche nella sent. n. 21698/2020 si stabilisce che “… Il ventunesimo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 2729 c.c. e 37, terzo comma, d.P.R. n. 600 del 1973 per aver la CTR ritenuto gravi precisi e concordanti gli elementi posti a sostegno dell’interposizione fittizia della Break It Down Ltd, della Musical Voice BV e della Collector Distribution Ltd. 16.1. Il motivo è inammissibile, risolvendosi, al di là della formale denuncia come vizio di legge, in una non consentita, come per le doglianze appena esaminate, contestazione dell’interpretazione dei fatti operata dalla CTR e del percorso logico-argomentativo della sentenza, la quale oltre a considerare, sia singolarmente che in una prospettiva unitaria, i numerosi elementi in giudizio – neppure, in effetti, oggetto di specifica contestazione quanto ai requisiti di cui all’art. 2729 c.c. – deponenti per la interposizione delle società rispetto all’attività del contribuente (enucleabili, in sintesi, sul rilievo che la totalità o l’assoluta maggioranza delle attività, del giro d’affari e dei proventi erano sovrapponibili a quelli dell’artista), ha pure apprezzato le (poche) attività curate da taluna di queste società (la Break It Down Ltd) a favore di altri cantanti, ritenendole motivatamente poco credibili e prive di concreto rilievo, restando inspiegabile «per quale ragione abbia poi ceduto i propri diritti per un compenso di soli € 10.000,00 rispetto al valore dei diritti ceduti”. 

I Supremi giudici in queste sentenze hanno attentamente esaminato i casi complessivamente prospettati, anche alla luce dei pronunciamenti in materia della Corte di Giustizia europea (v. sent. n. 21694/2020) e della Consulta, confermando definitivamente sia la natura fittizia del trasferimento della residenza fiscale del cantante che la sentenza per evasione fiscale per due annualità irrogata dai giudici tributari regionali.

A sorprendere, però, di queste sentenze non è solo la complessità della motivazione e degli argomenti trattati, ma l’ammonimento finale contenuto all’interno delle sentenze gemelle nel punto in cui è affermata la misura della sanzione, solitamente più favorevole al contribuente, visto che l’importo: “… è stato stabilito con un aumento del 50% del minimo edittale in considerazione della personalità dell’autore della violazione.”

La Suprema Corte, nel complesso, ha accolto solo qualche motivo di lagnanza e rigettato la stragrande maggioranza delle argomentazioni proposte per contestare gli avvisi di accertamento, ma  ha anche voluto  sottolineare che nella quantificazione delle pene pecuniarie hanno pesato una serie di fattori determinati dalla natura dolosa del comportamento, dall’assenza di condotte finalizzate a eliminare gli effetti dell’evasione fiscale, affermando infine “…lanatura dolosa del comportamento”, dell’assenza “di condotte intese ad eliminare gli effetti della condotta evasiva”, dell’elevato “livello economico e culturale del contribuente, personaggio famoso nel mondo della musica”, e per tale ragione “in possesso degli strumenti necessari per valutare la giustezza di un determinato comportamento, il quale, essendo la sua condotta “pubblica”, ha, rispetto ad altri contribuenti, maggiormente l’onere di una condotta etica”.

Il passo, solitamente non abituale, ha voluto così rammentare il dovere dei contribuenti ad avere dei comportamenti fiscalmente più corretti soprattutto per chi, come un personaggio pubblico, ha l’onere di praticare in maggior misura una condotta etica.Per meglio favorire la comprensione di quello che è stato affermato dai giudici di piazza Cavour ricordiamo che quando si parla di “scudo fiscale” si fa riferimento a una tipologia di regolarizzazione in materia tributaria e penale simile a un condono, perché inibisce l’azione penale e di accertamento tributario nel caso di alcuni illeciti tributari e penali. Esso sana alcuni eventuali comportamenti illeciti o irregolari effettuati dal contribuente riguardo alla produzione e detenzione di capitali detenuti all’estero, derivanti da redditi non denunciati e presumibilmente imponibili, e dall’acquisto di immobili con i suddetti capitali tramite il pagamento di una imposta forfettaria, una tantum, di valore inferiore alle normali aliquote tributarie.

Entrando in dettaglio, le disposizioni che nel corso degli anni si sono susseguite hanno riguardato il rimpatrio ovvero la regolarizzazione delle irregolarità inerenti le attività finanziarie e patrimoniali illegalmente detenute all’estero in violazione degli obblighi valutari e tributari sanciti dal decreto-legge n. 167 del 1990, conv. in L. n. 227/1990.

Lo scudo fiscale è stato introdotto dall’articolo 13-bis del D.L. n. 78/2009 (terzo decreto anticrisi), successivamente modificato sia dal D.L. n. 103/2009 (conv. con mod., dalla L. n. 141/2009) sia dal D.L. n. 194/2009, c.d. “Milleproroghe” (conv. con mod., dalla legge n. 25/2010); ulteriori disposizioni in materia di tassazione delle attività “scudate” sono state introdotte con il D.L. 201/2011 e con il D.L. 16/2012. La disciplina (c.d. scudo-ter) ha consentito la regolarizzazione o il rimpatrio delle attività detenute all’estero in una data non successiva al 31 dicembre 2008.

L’operazione, da effettuarsi nel periodo compreso tra il 15 settembre 2009 e il 15 aprile 2010, è stata resa perfezionabile con il pagamento di un’imposta straordinaria sulle attività finanziarie e patrimoniali istituita dall’art. 13-bis del D.L. n. 78/2009 e da applicare al rendimento presunto delle attività detenute all’estero che si intendeva far emergere. Il D.L. n. 194/2009 ha poi modificato il termine finale, fissato al 15 dicembre 2009, e introdotto un incremento della misura dell’imposta dovuta da applicare alle operazioni di emersione effettuate successivamente al 15 dicembre 2009: per il perfezionamento dell’operazione era richiesto il pagamento di un’imposta straordinaria istituita sulle attività finanziarie e patrimoniali. Ricordiamo anche che la misura dell’imposta, comprensiva di sanzioni e interessi, era fissata al 50% (quindi il 5% del valore emerso) per le operazioni effettuate entro il 15 dicembre 2009, al 60% (quindi, il 6% del valore emerso) per le operazioni effettuate entro il 28 febbraio 2010 e al 70% (quindi, il 7% del valore emerso) per le operazioni effettuate entro il 30 aprile 2010.

Gli effetti del rimpatrio o della regolarizzazione decorrevano dal momento dell’effettivo pagamento dell’imposta straordinaria sulle attività finanziarie e patrimoniali; inoltre, nei confronti del contribuente che aveva consentito l’emersione era preclusa ogni attività di accertamento tributario e contributivo limitatamente ai periodi d’imposta e agli imponibili oggetto di rimpatrio o regolarizzazione.

La legge n. 186/2014 ha poi introdotto nel nostro ordinamento la procedura di collaborazione volontaria (“Voluntary Disclosure”), un nuovo scudo fiscale che consente ai contribuenti/evasori di denunciare spontaneamente gli investimenti e le attività di natura finanziaria costituiti o detenuti all’estero non dichiarate al fisco. Partita ufficialmente il 30 gennaio del 2015, la Voluntary Disclosure si è rivolta a tutti i contribuenti che detenevano illecitamente attività e beni all’estero non dichiarati al Fisco, consentendo loro di regolarizzare la propria posizione e sanare le violazioni dichiarative, incluse quelle inerenti ai maggiori imponibili riferiti e non alle attività e ai beni anzidetti. L’art. 7 del D.L. n. 193/2016 ha poi riaperto i termini della collaborazione volontaria (“Voluntary bis”). Il D.L. 148/2017 (Collegato fiscale alla Legge di bilancio 2018), in sede di conversione, ha previsto una nuova sanatoria definita “mini-voluntary disclosure”, destinata alla regolarizzazione delle attività finanziarie detenute all’estero su conti correnti e libretti di risparmio dai lavoratori frontalieri ed ex residenti all’estero (iscritti AIRE).

In occasione delle diverse versioni dello scudo fiscale non sono mancate le pronunce della giurisprudenza in materia, allo scopo di chiarirne i termini di applicabilità nei confronti dei contribuenti oppure per fornire chiarimenti in ordine ad aspetti particolarmente controversi. Ad esempio, nella sentenza n. 33833/2018, la Corte di Cassazione ha rammentato che l’art. 13-bis del D.L. 78/2009, che disciplina il rimpatrio di attività finanziarie e patrimoniali detenute fuori del territorio dello Stato (scudo fiscale), prevede che il rimpatrio ovvero la regolarizzazione si perfezionano con il pagamento dell’imposta e non possono in ogni caso costituire elemento utilizzabile a sfavore del contribuente in ogni sede amministrativa o giudiziaria civile, amministrativa ovvero tributaria, in via autonoma o addizionale.

Tanto premesso e tornando al caso di specie, l’Agenzia delle entrate, dopo aver monitorato le ingenti somme spostate tra una società e l’altra dal contribuente tra l’Italia e l’estero, ne ha monitorato anche i viaggi aerei, le spese con la carta di credito e anche le presenze ai concerti e in tv, emetteva nei confronti di un noto artista e cantante il provvedimento di diniego dell’opponibilità dello scudo fiscale in relazione alle dichiarazioni riservate presentate ex art. 13 bis, D.L. n. 78/2009 in ordine agli avvisi di accertamento emessi, per gli anni 2006-2008, per l’omessa presentazioni delle dichiarazioni per IVA, IRPEF e IRAP sul presupposto che il formale trasferimento della residenza nel Regno Unito, operato nel 2006 dal contribuente, fosse in realtà fittizio.

Con ricorso il contribuente deduceva l’incompetenza dell’Agenzia procedente e l’illegittimità del diniego opposto. L’impugnazione era rigettata dalla CTP di Latina e la sentenza confermata dal giudice d’appello. Il contribuente proponeva ricorso per cassazione, illustrato con dieci motivi, chiedendo in subordine rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia ex art. 267 TFUE.

L’Agenzia delle Entrate resisteva con controricorso.

La V sezione civile della Corte di Cassazione ha però respinto il ricorso contro gli avvisi di accertamento inviati dall’Agenzia, confermando la decisione dei giudici tributari regionali, e nel farlo ha scritto che: “… Occorre rilevare, infatti, che la CTR, pur esaminando nel corpo della motivazione, sia pur in termini sintetici, le doglianze, che rigetta con motivazioni specifiche, preliminarmente afferma, ai fini dell’individuazione dell’oggetto del giudizio, che: “il Collegio ritiene di dover chiarire un aspetto fondamentale utile a far comprendere la vicenda qui esaminata … in tale sede, anche ai fini del corretto inquadramento della fattispecie, non si tratta di stabilire la legittimità o meno degli avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle entrate nei confronti del sig. F. per gli anni di imposta 2006, 2007 e 2008. Di contro, questo Collegio è chiamato a statuire la legittimità della comunicazione avente ad oggetto la “non opponibilità dello scudo fiscale art. 13 bis DL 78/09 conv. in L. 102/09” notificata al sig. F. il quale – eccependo la preclusione all’attività di accertamento da parte dell’Ufficio derivante dall’aver fatto emergere in Italia, mediante scudo fiscale, denaro ed altre attività costituite all’estero anteriormente al 31.12.08, in violazione del monitoraggio fiscale – (causa), invoca la conseguente illegittimità degli avvisi di accertamento emessi nei suoi confronti (effetto)».  In altri termini, la CTR ha ritenuto che tutti i profili afferenti la legittimità degli avvisi di accertamento fossero estranei al giudizio e che, anzi, l’accertamento sulla legittimità o meno dello scudo fiscale integrasse un presupposto per la validità degli accertamenti. Orbene, tale autonoma ratio non è stata in alcun modo censurata dal ricorrente, restando così consolidata, sì da rendere inammissibili – per carenza di interesse – tutte le ulteriori specifiche doglianze che afferiscono agli ulteriori fondamenti affermati dalla CTR.  Invero, mentre il primo motivo non accenna in alcun modo alla problematica dello scudo fiscale e, anzi, si riferisce esplicitamente «all’avviso di accertamento impugnato» (riferimento assente pure nel ricorso di primo grado anche se compare, ma solo come illegittimità derivata, nel motivo proposto in secondo grado), i restanti tre motivi sono articolati nella prospettiva della illegittimità derivata: la DP non era competente ad emettere l’avviso di accertamento e, quindi, è illegittimo anche il diniego di opponibilità dello scudo fiscale; ovvero (terzo e quarto), la DRE non era competente a svolgere le verifiche e, quindi, il diniego di opponibilità è illegittimo. Orbene, tale prospettiva si pone in diretto contrasto con la statuizione della CTR, congruamente e logicamente motivata e non censurata, derivandone l’inammissibilità delle censure.  Occorre osservare, inoltre, che le due prime censure si pongono altresì in contrasto con l’accertamento in fatto, pure operato dalla CTR e non censurato, secondo cui il contribuente non versava nella condizione di “non residente” poiché – non rilevante e decisiva la cancellazione dal registro dei residenti e l’iscrizione all’Aire – era «in Italia il domicilio fiscale» e, precisamente «presso la città di Latina», da cui, anche per tale ragione, l’inammissibilità delle doglianze.  È appena il caso di sottolineare, infine, quanto all’asserita incompetenza della DRE, che secondo la consolidata giurisprudenza della Corte, la Direzione regionale era già titolare, per disposizione regolamentare, della competenza a svolgere attività istruttoria, utilizzabile dalle Direzioni provinciali ai fini della emissione degli atti impositivi (ex multis Cass. n. 33289 del 21/12/2018).  Il quinto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., per aver la CTR escluso, con motivazione apparente, l’illegittimità dell’avviso per esser il diniego di applicabilità dello scudo fiscale insufficientemente motivato. Nel corpo del motivo si lamenta altresì vizio di extrapetizione per aver la CTR ritenuto che il ricorrente abbia denunciato la mancata allegazione di documentazione.  Il motivo è infondato.  La CTR, difatti, afferma l’infondatezza della dedotta insufficiente motivazione del diniego di opponibilità dello scudo con un espresso richiamo alla decisione di primo grado («questo Collegio non può che confermare la decisione resa dai primi giudici»), motivatamente fatta propria per aver il contribuente «nei propri scritti difensivi, compiuto un’articolata difesa, evidentemente edotto da quella stessa documentazione di cui lamenta la mancata conoscenza». E, del resto, tale accertamento di fatto è coerente con quanto risulta dalla stessa sentenza di primo grado, riprodotta in parte qua per autosufficienza, che aveva evidenziato che la motivazione del diniego «contiene sia il titolo giuridico, sia per relationem gli elementi su cui si fondava la formale conoscenza del ricorrente, per averli appresi, come risulta in atti al momento della notifica degli avvisi di accertamento», sicché non sussiste la denunciata apparenza motivazionale.  La dedotta extrapetizione è, invece, inammissibile, venendo a censurare un mero argomento utilizzato dalla CTR, e desumibile dagli atti, ai fini del ragionamento sulla congruità della motivazione del diniego. Il sesto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 97 Cost., del principio di tutela del legittimo affidamento, degli artt. 6, 10 e 12 I. n. 212 del 2000, nonché, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., omesso esame di fatto decisivo, per aver la CTR rigettato il diniego di opponibilità dello scudo fiscale pur a fronte dell’affidamento riposto a sostegno dell’insussistenza di indagini fiscali, omettendo di considerare il contenuto della delega rilasciata dal contribuente al commercialista incaricato di depositare spontaneamente della documentazione.  Il motivo, quanto al dedotto vizio di omesso esame di fatto decisivo, è inammissibile ai sensi dell’art. 348 ter, quinto comma, c.p.c. – applicabile ratione temporis trattandosi di appello depositato in data 12 febbraio 2013 -, che non consente più la proposizione del ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. nel caso vi sia stato un doppio accertamento conforme da parte dei giudici di merito sulle medesime questioni di fatto, circostanza che risulta dalla stessa motivazione della decisione impugnata che fa esplicito riferimento all’accertamento operato dal giudice di primo grado.  La denunciata violazione di legge è invece infondata. Premesso che il legittimo affidamento assume rilievo, in via di principio, ai fini delle sanzioni e non per l’obbligazione tributaria, nella vicenda in giudizio appare dirimente – come accertato dalla CTR e incontroverso in giudizio – che: – il contribuente aveva ricevuto un questionario sulle specifiche problematiche per l’anno 2006; – il medesimo in data 6 novembre 2008 aveva conferito ad un professionista, il dott. Giuseppe Di Rubbo, espressa delega «a rappresentarmi, a richiedere informazioni, notizie atti e documenti» «in riferimento alle attività di verifica ed ispezione in corso da parte di codesta agenzia nei confronti del sottoscritto sia direttamente che indirettamente»; – detto delegato aveva depositato – in data 19 febbraio 2009 – numerosa documentazione (riferibile trasversalmente a tutte le annualità in discussione) a difesa della posizione del contribuente. Occorre sottolineare, inoltre, che quest’ultima attività si era tradotta nella redazione di un formale “processo verbale di acquisizione di documentazione” ad opera di funzionari del “Settore Controlli, Contenzioso e Riscossione – Ufficio Accertamento”. Ne deriva che il contribuente aveva un’ampia conoscenza dell’esistenza, e della pendenza, di attività di indagine nei suoi confronti specificamente riferite al contestato trasferimento della residenza, sicché, in assenza di un qualunque comportamento contraddittorio da parte dell’Amministrazione e nella pendenza dei termini ordinari di accertamento, non sussistono i presupposti dell’invocato affidamento. Né il mero silenzio – in linea generale e, a maggior ragione, a fronte del compimento di atti formali – è suscettibile, di per sé, di essere valutato, in assenza di uno specifico obbligo di legge, contrario ai canoni di buona fede con riguardo ai rapporti tra contribuente ed Amministrazione. Occorre sottolineare, del resto, che dall’avvenuto deposito della documentazione avvenuto nel 2009 in alcun modo si poteva trarre l’affidamento della definizione delle indagini in corso e ciò non solo perché nessuna indicazione in tal senso traspare dal pvc (riprodotto per autosufficienza) ma proprio per l’evidente ragione che l’attività si è tradotta in un formale atto istruttorio, segno inequivoco della esistenza e pendenza di un procedimento di esito non ancora definito e per il quale – va aggiunto – erano ancora lontani i termini di legge per la sua chiusura.  Il settimo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 13 bis d.l. n. 78 del 2009, conv. dalla L. n. 102 del 2009, degli artt. 11, 13, 14, 15, 16. 19, commi 2 e 2-bis, e 20 comma 3, d.l. n. 350 del 2001, conv. dalla L. n. 409 del 2001, per aver la CTR ritenuto che la conoscenza di fatto da parte del contribuente dell’esistenza di indagini fiscali a suo carico non gli consentirebbe di opporre gli effetti dello scudo fiscale. Deduce specificamente l’irrilevanza del questionario inviato nel 2006 ai fini delle imposte per il 2007 (e il 2008).  Il motivo è infondato.  L’art. 13 bis d.l. n. 78 del 2009, conv. nella L. n. 102 del 2009, ha introdotto una forma (definita dalla dottrina “atipica”) di condono fiscale mediante l’istituzione di un’imposta straordinaria sulle attività finanziarie e patrimoniali detenute al di fuori del territorio dello Stato in violazione delle norme sul monitoraggio fiscale. L’emersione avviene attraverso la presentazione, ad opera di un intermediario, di una dichiarazione riservata e produce, quali effetti, l’estinzione delle sanzioni amministrative, di natura tributaria e previdenziale, in relazione agli importi dichiarati, con riferimento ai periodi di imposta per i quali non erano ancora scaduti i termini per l’accertamento, nonché l’inibizione dei poteri di accertamento dei competenti Uffici in materia tributaria e previdenziale per tutti gli imponibili correlati alle somme o alle attività oggetto della sanatoria per i periodi d’imposta che avevano termine al 31 dicembre 2008. In particolare, la copertura offerta dallo scudo fiscale poteva essere opposta a qualunque tipo di accertamento. In relazione al rinvio operato dalla disciplina al d.l. n. 350 del 2001 (che aveva introdotto per la prima volta questa forma di condono), le operazioni di emersione non producevano gli effetti indicati (e, per quanto qui rileva, l’opponibilità all’accertamento) qualora, alla data di presentazione della dichiarazione riservata (art. 14, comma 7, d.l. n. 350 del 2001) «una delle violazioni delle norme indicate al comma 1 è stata già constatata o comunque sono già iniziati accessi, ispezioni e verifiche o altre attività di accertamento tributario e contributivo di cui gli interessati hanno avuto formale conoscenza». Sostiene il ricorrente che, non essendo stato notificato alcun atto (se non il questionario, che, tuttavia, non rileverebbe per le annualità 2007 e 2008), non ricorrono le condizioni previste dalla norma per escludere l’opponibilità delle dichiarazioni riservate, non potendosi considerare sufficiente la mera conoscenza di fatto della pendenza dell’accertamento. Tale conclusione non è condivisibile. La disposizione richiamata, infatti, utilizza la locuzione «formale conoscenza» e non quella di «formale notifica», dovendosi escludere una piena equipollenza tra i due concetti. La notificazione, infatti, costituisce un procedimento, oggetto di espressa e puntuale regolamentazione, che ha lo scopo di portare a legale conoscenza al destinatario l’atto che gli viene trasmesso. Come tale, peraltro, esso ammette la possibilità che, in caso di irregolarità della procedura di notifica, assuma rilievo la circostanza dell’effettiva conoscenza comunque avvenuta. La nozione di formale conoscenza, che può riferirsi non solo ad un atto ma anche ad una attività, richiede, invece, che la conoscenza sorga in relazione al compimento di un atto procedimentale che abbia coinvolto l’interessato. Può sorgere, dunque, sia per effetto (come avviene il più delle volte) della notifica di un atto, sia per il compimento di altre attività procedimentali in diretto collegamento con il destinatario, quali, ad esempio, la partecipazione al contraddittorio, la presenza fisica al compimento di un accesso o di una ispezione, la contestazione in sede penale, l’avvenuta risposta ad un questionario (e ciò anche nel caso in cui manchi la prova della pregressa notifica). La stessa norma, del resto, riferisce la formale conoscenza anche agli accessi, verifiche, ispezioni, ossia ad iniziative che, in quanto tali, non si concretizzano in (né sono caratterizzate da) notificazioni e, invece, postulano il compimento di una attività finalizzata ad atti specifici di un procedimento. In tal senso rileva, dunque, anche la redazione di “processo verbale di acquisizione di documentazione” poiché costituisce un atto tipico della procedura, irrilevante a tal fine che l’attività sia stata posta in essere per iniziativa dell’Amministrazione ovvero della parte privata. Nella vicenda in esame, pertanto, sussistevano le condizioni che hanno legittimato l’Amministrazione ad opporre il diniego, trattandosi di attività posta in essere dal delegato del contribuente (delega, come su riportato, ampia e riferita espressamente ai procedimenti in corso), formalizzata in un atto procedurale tipico e i cui contenuti sono stati, con valutazione di merito non censurabile, ritenuti pertinenti, sì da essere idonea ad integrare i presupposti della “formale conoscenza”. È appena il caso di sottolineare, infine, che la delega di un professionista da parte del contribuente, finalizzata specificamente alla cura degli interessi del delegante nell’ambito degli accertamenti (diretti o indiretti) in questione, lungi dal costituire una circostanza meramente fortuita (espressione impiegata dalla CTR e su cui il ricorrente insiste), costituisce, in realtà, il risultato di una specifica scelta che trae origine proprio dalla coscienza della pendenza di una indagine sulla regolarità del trasferimento estero.  Va pertanto affermato il seguente principio di diritto: «In materia di scudo fiscale, la presentazione della dichiarazione riservata di cui all’art. 13 bis d.l. n. 78 del 2009, conv. dalla legge n. 102 del 2009, non è preclusiva del potere di accertamento tributario ove il contribuente, alla data di presentazione della stessa, avesse già, ai sensi dell’art. 14, comma 7, d.l. n. 350 del 2001, conv. dalla legge n. 409 del 2001, “formale conoscenza” dell’avvio dell’attività di accertamento; tale condizione non si esaurisce nella “formale notifica” di un atto ma ricorre anche nel caso del compimento di attività – quali, tra l’altro, gli accessi, le ispezioni, le verifiche, la partecipazione al contraddittorio, l’invio e la risposta a questionari, le acquisizioni probatorie ed istruttorie – che abbiano coinvolto il contribuente e si siano tradotte in atti del procedimento specifici e di contenuto pertinente – la cui valutazione è di competenza del giudice di merito – all’accertamento medesimo»  L’ottavo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 142 c.p.c. e 60 d.P.R. n. 600 del 1973, nonché degli artt. 6 I. n. 212 del 2000, 13 bis d.l. n. 78 del 2009, conv. dalla L. n. 102 del 2009, 11, 13, 14, 15, 16, 19, commi 2 e 2-bis, e 20 comma 3, d.l. n. 350 del 2001, conv. dalla L. n. 409 del 2001 per aver la CTR ritenuto costituisca conoscenza formale delle indagini la notifica effettuata presso il domicilio fiscale di soggetto residente anagraficamente all’estero ancorché in tal caso la notifica debba essere effettuata presso la residenza estera.  Il motivo, al di là della sua infondatezza attesa l’avvenuta risposta al questionario, resta assorbito dal rigetto del settimo. Il nono motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 97 Cost., del principio generale del giusto procedimento amministrativo, dell’art. 12 I. n. 212 del 2000, 5, 6, 7 e 8 d.lgs. n. 281 del 1997 per aver la CTR ritenuto che il contraddittorio successivo surrogasse la mancata redazione di un pvc da parte della DRE, così escludendo la violazione del diritto al contraddittorio preventivo. 8.1. Il decimo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE e del rispetto dei diritti di difesa per aver escluso il diritto all’instaurazione di un contraddittorio preventivo.  I motivi, da esaminare unitariamente per connessione logica, sono inammissibili. È lo stesso ricorrente, infatti, che precisa di non aver «chiesto l’annullamento del diniego di inopponibilità dello scudo fiscale anche per violazione del diritto del contribuente al contraddittorio preventivo» (pag. 107). Ne deriva la totale carenza d’interesse trattandosi di statuizione in alcun modo riferibile alle doglianze del ricorrente. Parimenti inammissibile, infine, è la richiesta, contenuta nel dispositivo del ricorso (pag. 232), di rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE «come formulata in motivazione», della quale, tuttavia, non v’è traccia nell’intero ricorso, neppure essendo indicati i parametri di riferimento. Il ricorso va pertanto rigettato”.

Corte di Cassazione – Sentenza 8 ottobre 2020, n. 21697

sul ricorso iscritto al n. 19906/2014 R.G. proposto da

F. T., rappresentato e difeso dagli Avv.ti Gabriele Escalar e Vittorio Giordano, con domicilio eletto presso i medesimi in Roma viale Giuseppe Mazzini n. 11, giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente e ricorrente incidentale condizionato –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio sez. staccata di Latina n. 205/39/14, depositata il 21 gennaio 2014.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 17 gennaio 2020 dal Cons. Giuseppe Fuochi Tinarelli.

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Rita Sanlorenzo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Udito l’Avv. Gabriele Escalar per il contribuente che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Udito l’Avv. dello Stato Gianna Galluzzo per l’Agenzia delle entrate che ha concluso per il rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

L’Agenzia delle entrate di Latina emetteva nei confronti di F. T., artista e cantante, provvedimento di diniego dell’opponibilità dello scudo fiscale in relazione alle dichiarazioni riservate presentate ex art. 13 bis di. n. 78 del 2009 in ordine agli avvisi di accertamento emessi, per gli anni 2006-2008, per l’omessa presentazioni delle dichiarazioni per Iva, Irpef e Irap sul presupposto che il formale trasferimento della residenza nel Regno Unito, operato nel corso del 2006 dal contribuente, fosse in realtà fittizio.

Con ricorso il contribuente deduceva l’incompetenza dell’Agenzia procedente e l’illegittimità del diniego opposto. L’impugnazione era rigettata dalla CTP di Latina; la sentenza era confermata dal giudice d’appello.

F. T. propone ricorso per cassazione con dieci motivi, chiedendo, in subordine, rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia ex art. 267 TFUE.

L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale condizionato con un motivo. Il contribuente deposita altresì memoria illustrativa e sentenza penale di assoluzione irrevocabile emessa dal Tribunale di Latina.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Va preliminarmente disattesa l’eccezione di inammissibilità dell’intero ricorso per aver il contribuente riproposto tutte la questioni già oggetto del giudizio di merito, sì da mirare ad un mero nuovo apprezzamento dei fatti, e per aver denunciato la medesima questione in relazione ad una pluralità di vizi.

Si tratta di profili, infatti, la cui incidenza e rilevanza riguarda, nel caso, le singole doglianze ma non investe, nel presente giudizio, l’integrità del ricorso, variamente articolato.

1.1. Sempre in via preliminare, quanto alla produzione della sentenza penale di assoluzione in sede di memoria difensiva ex art. 2 378 c.p.c., va osservato che il principio secondo cui, nel giudizio di cassazione, l’esistenza del giudicato esterno è, al pari di quella del giudicato interno, rilevabile d’ufficio, non solo qualora emerga da atti comunque prodotti nel giudizio di merito, ma anche nell’ipotesi in cui il giudicato si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata, con correlativa inopponibilità del divieto di cui all’art. 372 c.p.c., non può trovare applicazione laddove la sentenza passata in giudicato venga invocata, ai sensi dell’art. 654 c.p.p., unicamente al fine di dimostrare l’effettiva sussistenza (o insussistenza) dei fatti.

In tale evenienza, infatti, la sua astratta rilevanza potrebbe ravvisarsi soltanto in relazione all’affermazione (o negazione) di meri fatti materiali, ossia a valutazioni di stretto merito non deducibili nel giudizio di legittimità. Tale conclusione rileva, a maggior ragione, con riguardo alle specificità del giudizio tributario, nel quale la sentenza penale irrevocabile non ha mai efficacia di regula iuris, cui il giudice civile deve necessariamente attenersi, vigendo, invece, le limitazioni probatorie sancite dall’art. 7, comma 4, d.lgs. n. 546 del 1992, e potendo ivi valere anche le presunzioni, inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna (v. da ultimo Cass. n. 17258 del 27/06/2019).

Ne consegue che in questi casi va ritenuta l’inammissibilità della produzione della sentenza penale, siccome estranea all’ambito previsionale dell’art. 372 c.p.c. (v. Cass. n. 23483 del 19/11/2010; Cass. n. 22376 del 26/09/2017).

Non pertinenti, poi, sono i precedenti invocati in memoria che, anzi, confermano ulteriormente la suddetta conclusione (la sentenza da ultimo citata n. 14668 del 2019 definisce in termini chiari che «i documenti di cui la medesima norma di rito [372 c.p.c.] consente la produzione sono quelli attinenti alla nullità della sentenza impugnata e all’ammissibilità del ricorso o del controricorso» da cui la rilevanza della documentazione comprovante «il giudicato esterno» quale «espressione della regola iuris del caso concreto»).

2. Il primo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza per violazione degli artt. 112 e 132 c.p.c., per aver la CTR omesso di pronunciarsi sull’eccepita incompetenza della Direzione Provinciale (DP) di Latina ad emettere l’avviso di accertamento o, in subordine, per aver statuito con motivazione meramente apparente.

2.1. Il secondo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 31 e 58 d.P.R. n. 600 del 1973, 2 tuir, 52 d.P.R. n. 633 del 1972, 21-octies I. n. 241 del 1990, 61 e 66 d.lgs. n. 300 del 1999, nonché dello Statuto e del Regolamento di Amministrazione dell’Agenzia delle entrate, deducendo, in subordine al primo motivo, l’incompetenza della DP di Latina ad emettere il diniego di opponibilità dello scudo fiscale per aver il contribuente trasferito la propria residenza a Manchester, nel Regno Unito, e, comunque, per aver prodotto il reddito più elevato in Roma.

2.2. Il terzo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., per aver la CTR ritenuto, con motivazione apparente, la Direzione Regionale Erariale (DRE) del Lazio competente a svolgere attività d’indagine fiscale nei confronti del contribuente.

2.3. Il quarto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 14 Cost., 31, 32 e 33 d.P.R. n. 600 del 1973, 52 d.P.R. n. 633 del 1972, 27, comma 13, d.l. n. 185 del 2008, conv. dalla I. n. 2 del 2009, 23, comma 1, d.P.R. n. 107 del 2001, 61 e 66 d.lgs. n. 300 del 1999, nonché dello Statuto e del Regolamento di Amministrazione dell’Agenzia delle entrate, per non aver la CTR ritenuto il diniego di opponibilità illegittimo per la carente competenza della DRE a compiere indagini nei confronti del contribuente.

4 l- 3. I motivi in questione concernono la competenza della DP di Latina ad emettere l’atto impugnato e la competenza della DRE a svolgere attività istruttoria. Le censure, che possono essere esaminate unitariamente per connessione logica, sono inammissibili.

3.1. Occorre rilevare, infatti, che la CTR, pur esaminando nel corpo della motivazione, sia pur in termini sintetici, le doglianze, che rigetta con motivazioni specifiche, preliminarmente afferma, ai fini dell’individuazione dell’oggetto del giudizio, che: “il Collegio ritiene di dover chiarire un aspetto fondamentale utile a far comprendere la vicenda qui esaminata … in tale sede, anche ai fini del corretto inquadramento della fattispecie, non si tratta di stabilire la legittimità o meno degli avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle entrate nei confronti del sig. F. per gli anni di imposta 2006, 2007 e 2008. Di contro, questo Collegio è chiamato a statuire la legittimità della comunicazione avente ad oggetto la “non opponibilità dello scudo fiscale art. 13 bis DL 78/09 conv. in L. 102/09” notificata al sig. F. il quale – eccependo la preclusione all’attività di accertamento da parte dell’Ufficio derivante dall’aver fatto emergere in Italia, mediante scudo fiscale, denaro ed altre attività costituite all’estero anteriormente al 31.12.08, in violazione del monitoraggio fiscale – (causa), invoca la conseguente illegittimità degli avvisi di accertamento emessi nei suoi confronti (effetto)».

In altri termini, la CTR ha ritenuto che tutti i profili afferenti la legittimità degli avvisi di accertamento fossero estranei al giudizio e che, anzi, l’accertamento sulla legittimità o meno dello scudo fiscale integrasse un presupposto per la validità degli accertamenti. Orbene, tale autonoma ratio non è stata in alcun modo censurata dal ricorrente, restando così consolidata, sì da rendere inammissibili – per carenza di interesse – tutte le ulteriori specifiche doglianze che afferiscono agli ulteriori fondamenti affermati dalla CTR.

3.2. Invero, mentre il primo motivo non accenna in alcun modo alla problematica dello scudo fiscale e, anzi, si riferisce esplicitamente «all’avviso di accertamento impugnato» (riferimento assente pure nel ricorso di primo grado anche se compare, ma solo come illegittimità derivata, nel motivo proposto in secondo grado), i restanti tre motivi sono articolati nella prospettiva della illegittimità derivata: la DP non era competente ad emettere l’avviso di accertamento e, quindi, è illegittimo anche il diniego di opponibilità dello scudo fiscale; ovvero (terzo e quarto), la DRE non era competente a svolgere le verifiche e, quindi, il diniego di opponibilità è illegittimo. Orbene, tale prospettiva si pone in diretto contrasto con la statuizione della CTR, congruamente e logicamente motivata e non censurata, derivandone l’inammissibilità delle censure.

3.3. Occorre osservare, inoltre, che le due prime censure si pongono altresì in contrasto con l’accertamento in fatto, pure operato dalla CTR e non censurato, secondo cui il contribuente non versava nella condizione di “non residente” poiché – non rilevante e decisiva la cancellazione dal registro dei residenti e l’iscrizione all’Aire – era «in Italia il domicilio fiscale» e, precisamente «presso la città di Latina», da cui, anche per tale ragione, l’inammissibilità delle doglianze.

3.4. È appena il caso di sottolineare, infine, quanto all’asserita incompetenza della DRE, che secondo la consolidata giurisprudenza della Corte, la Direzione regionale era già titolare, per disposizione regolamentare, della competenza a svolgere attività istruttoria, utilizzabile dalle Direzioni provinciali ai fini della emissione degli atti impositivi (ex multis Cass. n. 33289 del 21/12/2018).

4. Il quinto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., per aver la CTR escluso, con motivazione apparente, l’illegittimità dell’avviso per esser il diniego di applicabilità dello scudo fiscale insufficientemente motivato.

Nel corpo del motivo si lamenta altresì vizio di extrapetizione per aver la CTR ritenuto che il ricorrente abbia denunciato la mancata allegazione di documentazione.

4.1. Il motivo è infondato.

La CTR, difatti, afferma l’infondatezza della dedotta insufficiente motivazione del diniego di opponibilità dello scudo con un espresso richiamo alla decisione di primo grado («questo Collegio non può che confermare la decisione resa dai primi giudici»), motivatamente fatta propria per aver il contribuente «nei propri scritti difensivi, compiuto un’articolata difesa, evidentemente edotto da quella stessa documentazione di cui lamenta la mancata conoscenza».

E, del resto, tale accertamento di fatto è coerente con quanto risulta dalla stessa sentenza di primo grado, riprodotta in parte qua per autosufficienza, che aveva evidenziato che la motivazione del diniego «contiene sia il titolo giuridico, sia per relationem gli elementi su cui si fondava la formale conoscenza del ricorrente, per averli appresi, come risulta in atti al momento della notifica degli avvisi di accertamento», sicché non sussiste la denunciata apparenza motivazionale.

4.2. La dedotta extrapetizione è, invece, inammissibile, venendo a censurare un mero argomento utilizzato dalla CTR, e desumibile dagli atti, ai fini del ragionamento sulla congruità della motivazione del diniego.

5. Il sesto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 97 Cost., del principio di tutela del legittimo affidamento, degli artt. 6, 10 e 12 I. n. 212 del 2000, nonché, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., omesso esame di fatto decisivo, per aver la CTR rigettato il diniego di opponibilità dello scudo fiscale pur a fronte dell’affidamento riposto a sostegno dell’insussistenza di indagini fiscali, omettendo di considerare il contenuto della delega rilasciata dal contribuente al commercialista incaricato di depositare spontaneamente della documentazione.

5.1. Il motivo, quanto al dedotto vizio di omesso esame di fatto decisivo, è inammissibile ai sensi dell’art. 348 ter, quinto comma, c.p.c. – applicabile ratione temporis trattandosi di appello depositato in data 12 febbraio 2013 -, che non consente più la proposizione del ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. nel caso vi sia stato un doppio accertamento conforme da parte dei giudici di merito sulle medesime questioni di fatto, circostanza che risulta dalla stessa motivazione della decisione impugnata che fa esplicito riferimento all’accertamento operato dal giudice di primo grado.

5.2. La denunciata violazione di legge è invece infondata.

Premesso che il legittimo affidamento assume rilievo, in via di principio, ai fini delle sanzioni e non per l’obbligazione tributaria, nella vicenda in giudizio appare dirimente – come accertato dalla CTR e incontroverso in giudizio – che: – il contribuente aveva ricevuto un questionario sulle specifiche problematiche per l’anno 2006; – il medesimo in data 6 novembre 2008 aveva conferito ad un professionista, il dott. Giuseppe Di Rubbo, espressa delega «a rappresentarmi, a richiedere informazioni, notizie atti e documenti» «in riferimento alle attività di verifica ed ispezione in corso da parte di codesta agenzia nei confronti del sottoscritto sia direttamente che indirettamente»; – detto delegato aveva depositato – in data 19 febbraio 2009 – numerosa documentazione (riferibile trasversalmente a tutte le annualità in discussione) a difesa della posizione del contribuente.

Occorre sottolineare, inoltre, che quest’ultima attività si era tradotta nella redazione di un formale “processo verbale di acquisizione di documentazione” ad opera di funzionari del “Settore Controlli, Contenzioso e Riscossione – Ufficio Accertamento”.

Ne deriva che il contribuente aveva un’ampia conoscenza dell’esistenza, e della pendenza, di attività di indagine nei suoi confronti specificamente riferite al contestato trasferimento della residenza, sicché, in assenza di un qualunque comportamento contraddittorio da parte dell’Amministrazione e nella pendenza dei termini ordinari di accertamento, non sussistono i presupposti dell’invocato affidamento.

Né il mero silenzio – in linea generale e, a maggior ragione, a fronte del compimento di atti formali – è suscettibile, di per sé, di essere valutato, in assenza di uno specifico obbligo di legge, contrario ai canoni di buona fede con riguardo ai rapporti tra contribuente ed Amministrazione.

Occorre sottolineare, del resto, che dall’avvenuto deposito della documentazione avvenuto nel 2009 in alcun modo si poteva trarre l’affidamento della definizione delle indagini in corso e ciò non solo perché nessuna indicazione in tal senso traspare dal Pvc (riprodotto per autosufficienza) ma proprio per l’evidente ragione che l’attività si è tradotta in un formale atto istruttorio, segno inequivoco della esistenza e pendenza di un procedimento di esito non ancora definito e per il quale – va aggiunto – erano ancora lontani i termini di legge per la sua chiusura.

6. Il settimo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 13 bis d.l. n. 78 del 2009, conv. dalla L. n. 102 del 2009, degli artt. 11, 13, 14, 15, 16. 19, commi 2 e 2-bis, e 20 comma 3, d.l. n. 350 del 2001, conv. dalla L. n. 409 del 2001, per aver la CTR ritenuto che la conoscenza di fatto da parte del contribuente dell’esistenza di indagini fiscali a suo carico non gli consentirebbe di opporre gli effetti dello scudo fiscale. Deduce specificamente l’irrilevanza del questionario inviato nel 2006 ai fini delle imposte per il 2007 (e il 2008).

6.1. Il motivo è infondato.

6.2. L’art. 13 bis d.l. n. 78 del 2009, conv. nella L. n. 102 del 2009, ha introdotto una forma (definita dalla dottrina “atipica”) di condono fiscale mediante l’istituzione di un’imposta straordinaria sulle attività finanziarie e patrimoniali detenute al di fuori del territorio dello Stato in violazione delle norme sul monitoraggio fiscale. L’emersione avviene attraverso la presentazione, ad opera di un intermediario, di una dichiarazione riservata e produce, quali effetti, l’estinzione delle sanzioni amministrative, di natura tributaria e previdenziale, in relazione agli importi dichiarati, con riferimento ai periodi di imposta per i quali non erano ancora scaduti i termini per l’accertamento, nonché l’inibizione dei poteri di accertamento dei competenti Uffici in materia tributaria e previdenziale per tutti gli imponibili correlati alle somme o alle attività oggetto della sanatoria per i periodi d’imposta che avevano termine al 31 dicembre 2008. In particolare, la copertura offerta dallo scudo fiscale poteva essere opposta a qualunque tipo di accertamento.

6.3. In relazione al rinvio operato dalla disciplina al d.l. n. 350 del 2001 (che aveva introdotto per la prima volta questa forma di condono), le operazioni di emersione non producevano gli effetti indicati (e, per quanto qui rileva, l’opponibilità all’accertamento) qualora, alla data di presentazione della dichiarazione riservata (art. 14, comma 7, d.l. n. 350 del 2001) «una delle violazioni delle norme indicate al comma 1 è stata già constatata o comunque sono già iniziati accessi, ispezioni e verifiche o altre attività di accertamento tributario e contributivo di cui gli interessati hanno avuto formale conoscenza».

6.4. Sostiene il ricorrente che, non essendo stato notificato alcun atto (se non il questionario, che, tuttavia, non rileverebbe per le annualità 2007 e 2008), non ricorrono le condizioni previste dalla norma per escludere l’opponibilità delle dichiarazioni riservate, non potendosi considerare sufficiente la mera conoscenza di fatto della pendenza dell’accertamento.

6.5. Tale conclusione non è condivisibile.

La disposizione richiamata, infatti, utilizza la locuzione «formale conoscenza» e non quella di «formale notifica», dovendosi escludere una piena equipollenza tra i due concetti.

La notificazione, infatti, costituisce un procedimento, oggetto di espressa e puntuale regolamentazione, che ha lo scopo di portare a legale conoscenza al destinatario l’atto che gli viene trasmesso. Come tale, peraltro, esso ammette la possibilità che, in caso di irregolarità della procedura di notifica, assuma rilievo la circostanza dell’effettiva conoscenza comunque avvenuta.

La nozione di formale conoscenza, che può riferirsi non solo ad un atto ma anche ad una attività, richiede, invece, che la conoscenza sorga in relazione al compimento di un atto procedimentale che abbia coinvolto l’interessato. Può sorgere, dunque, sia per effetto (come avviene il più delle volte) della notifica di un atto, sia per il compimento di altre attività procedimentali in diretto collegamento con il destinatario, quali, ad esempio, la partecipazione al contraddittorio, la presenza fisica al compimento di un accesso o di una ispezione, la contestazione in sede penale, l’avvenuta risposta ad un questionario (e ciò anche nel caso in cui manchi la prova della pregressa notifica).

La stessa norma, del resto, riferisce la formale conoscenza anche agli accessi, verifiche, ispezioni, ossia ad iniziative che, in quanto tali, non si concretizzano in (né sono caratterizzate da) notificazioni e, invece, postulano il compimento di una attività finalizzata ad atti specifici di un procedimento. In tal senso rileva, dunque, anche la redazione di “processo verbale di acquisizione di documentazione” poiché costituisce un atto tipico della procedura, irrilevante a tal fine che l’attività sia stata posta in essere per iniziativa dell’Amministrazione ovvero della parte privata.

6.6. Nella vicenda in esame, pertanto, sussistevano le condizioni che hanno legittimato l’Amministrazione ad opporre il diniego, trattandosi di attività posta in essere dal delegato del contribuente (delega, come su riportato, ampia e riferita espressamente ai procedimenti in corso), formalizzata in un atto procedurale tipico e i cui contenuti sono stati, con valutazione di merito non censurabile, ritenuti pertinenti, sì da essere idonea ad integrare i presupposti della “formale conoscenza”.

6.7. È appena il caso di sottolineare, infine, che la delega di un professionista da parte del contribuente, finalizzata specificamente alla cura degli interessi del delegante nell’ambito degli accertamenti (diretti o indiretti) in questione, lungi dal costituire una circostanza meramente fortuita (espressione impiegata dalla CTR e su cui il ricorrente insiste), costituisce, in realtà, il risultato di una specifica scelta che trae origine proprio dalla coscienza della pendenza di una indagine sulla regolarità del trasferimento estero.

6.8. Va pertanto affermato il seguente principio di diritto: «In materia di scudo fiscale, la presentazione della dichiarazione riservata di cui all’art. 13 bis d.l. n. 78 del 2009, conv. dalla legge n. 102 del 2009, non è preclusiva del potere di accertamento tributario ove il contribuente, alla data di presentazione della stessa, avesse già, ai sensi dell’art. 14, comma 7, d.l. n. 350 del 2001, conv. dalla legge n. 409 del 2001, “formale conoscenza” dell’avvio dell’attività di accertamento; tale condizione non si esaurisce nella “formale notifica” di un atto ma ricorre anche nel caso del compimento di attività – quali, tra l’altro, gli accessi, le ispezioni, le verifiche, la partecipazione al contraddittorio, l’invio e la risposta a questionari, le acquisizioni probatorie ed istruttorie – che abbiano coinvolto il contribuente e si siano tradotte in atti del procedimento specifici e di contenuto pertinente – la cui valutazione è di competenza del giudice di merito – all’accertamento medesimo»

7. L’ottavo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 142 c.p.c. e 60 d.P.R. n. 600 del 1973, nonché degli artt. 6 I. n. 212 del 2000, 13 bis d.l. n. 78 del 2009, conv. dalla L. n. 102 del 2009, 11, 13, 14, 15, 16, 19, commi 2 e 2-bis, e 20 comma 3, d.l. n. 350 del 2001, conv. dalla L. n. 409 del 2001 per aver la CTR ritenuto costituisca conoscenza formale delle indagini la notifica effettuata presso il domicilio fiscale di soggetto residente anagraficamente all’estero ancorché in tal caso la notifica debba essere effettuata presso la residenza estera.

7.1. Il motivo, al di là della sua infondatezza attesa l’avvenuta risposta al questionario, resta assorbito dal rigetto del settimo.

8. Il nono motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 97 Cost., del principio generale del giusto procedimento amministrativo, dell’art. 12 I. n. 212 del 2000, 5, 6, 7 e 8 d.lgs. n. 281 del 1997 per aver la CTR ritenuto che il contraddittorio successivo surrogasse la mancata redazione di un pvc da parte della DRE, così escludendo la violazione del diritto al contraddittorio preventivo. 8.1. Il decimo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE e del rispetto dei diritti di difesa per aver escluso il diritto all’instaurazione di un contraddittorio preventivo.

9. I motivi, da esaminare unitariamente per connessione logica, sono inammissibili. È lo stesso ricorrente, infatti, che precisa di non aver «chiesto l’annullamento del diniego di inopponibilità dello scudo fiscale anche per violazione del diritto del contribuente al contraddittorio preventivo» (pag. 107).

Ne deriva la totale carenza d’interesse trattandosi di statuizione in alcun modo riferibile alle doglianze del ricorrente.

10. Parimenti inammissibile, infine, è la richiesta, contenuta nel dispositivo del ricorso (pag. 232), di rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE «come formulata in motivazione», della quale, tuttavia, non v’è traccia nell’intero ricorso, neppure essendo indicati i parametri di riferimento.

11. Il ricorso va pertanto rigettato. Il ricorso incidentale condizionato proposto dall’Agenzia resta conseguentemente assorbito. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

 La Corte rigetta il ricorso.

Condanna F. T. al pagamento delle spese a favore dell’Agenzia delle entrate, che liquida in complessive euro 9.000,00, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto. Deciso in Roma, il 17 gennaio 2020

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