CASSAZIONE

Responsabilità esclusiva della società con personalità giuridica, anche se c’è l’amministratore di fatto

Tributi – IRES – Concorso nella violazione di norme tributarie – Sanzioni amministrative tributarie – Rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica – Sanzioni imputabili esclusivamente alla società e non al legale rappresentante – Art. 7, L. n. 326 del 2003 – Dividendi societari meramente fittizi – Società estera

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9450 del 22 maggio 2020, intervenendo in tema di accertamento per maggiori imposte, sanzioni e responsabilità solidale, ha affermato che l’amministratore di fatto non è perseguibile in solido delle sanzioni inflitte alla società per il mancato versamento delle imposte, salvo che l’Ufficio non riesca a dimostrare la fittizietà dell’ente.

I Supremi Giudici hanno pertanto ritenuto che le sanzioni amministrative relative al rapporto tributario proprio di società o enti con personalità giuridica, ex art. 7, d.l. n. 269/2003 (conv. con modif. in L. n. 326/2003), sono esclusivamente a carico della persona giuridica anche quando sia gestita da un amministratore di fatto.

Non è infatti possibile fondare un eventuale concorso di quest’ultimo nella violazione fiscale sul disposto di cui all’art 9 del D.lgs. n. 472/1997 (Concorso di persone1. Quando più persone concorrono in una violazione, ciascuna di esse soggiace alla sanzione per questa disposta. Tuttavia, quando la violazione consiste nell’omissione di un comportamento cui sono obbligati in solido più soggetti, è irrogata una sola sanzione e il pagamento eseguito da uno dei responsabili libera tutti gli altri, salvo il diritto di regresso), che non può costituire deroga al predetto art. 7 e che le sanzioni amministrative relative al rapporto tributario sono, in generale, esclusivamente a carico della persona giuridica, anche quando sia gestita da un amministratore di fatto, ma tale principio non può però ritenersi operante anche nell’ipotesi di società artificiosamente costituita, dovendo comunque sussistere una differenza tra trasgressore e contribuente, non presente nel caso in cui la persona fisica sia esclusivo beneficiario delle violazioni contestate.

Come peraltro recentemente affermato dagli stessi Ermellini con l’ordinanza n. 1904/2020, che intervenendo in tema di accertamento per maggiori imposte, sanzioni e responsabilità solidale, hanno infatti ricordato che “… Le sanzioni amministrative relative al rapporto tributario proprio di società o enti con personalità giuridica, ex art. 7 del d.l. n. 269 del 2003 (conv. con modif. in l. n. 326 del 2003), sono esclusivamente a carico della persona giuridica anche quando sia gestita da un amministratore di fatto, non potendosi fondare un eventuale concorso di quest’ultimo nella violazione fiscale sul disposto di cui all’art 9 del d.lgs. n. 472 del 1997, che non può costituire deroga al predetto art. 7, ad esso successivo, che invece prevede l’applicabilità delle disposizioni del d.lgs. n. 472 ma solo in quanto compatibili, non può ritenersi operante anche nell’ipotesi di società artificiosamente costituita”.

In linea generale rammentiamo che in precedenza il sistema legislativo in materia di sanzioni tributarie relative al rapporto tributario della società contemplava, invece, anche la diretta sanzionabilità dell’autore materiale della violazione e, quindi, dell’amministratore. In particolare, facendo leva sull’articolo 11 del D.Lgs n. 472/1997, rubricato “Responsabilità per le sanzioni amministrative”, si disponeva che “Nei casi in cui una violazione che abbia inciso sulla determinazione o sul pagamento del tributo è commessa (…) dall’amministratore, anche di fatto, di società (…), nell’esercizio delle proprie funzioni o incombenze, la persona fisica, la società, (…) nell’interesse dei quali ha agito l’autore della violazione sono obbligati solidalmente al pagamento di una somma pari alla sanzione irrogata, salvo il diritto di regresso secondo le disposizioni vigenti”.

Erano quindi previste due forme di responsabilità per le sanzioni amministrative tributarie: una diretta, per la persona fisica autore dell’illecito, anche se semplice amministratore di fatto, e una indiretta, di tipo solidale, a carico della società. Ciò comportava la possibilità, per l’Amministrazione finanziaria, di rivolgersi tanto all’autore della violazione, quanto all’ente, esigendo sia dall’uno che dall’altro il pagamento integrale della sanzione, salva poi l’azione di regresso.

Il suddetto sistema è stato modificato con l’entrata in vigore del D.L. n. 269/2003, articolo 7, rubricato “Riferibilità esclusiva alla persona giuridica delle sanzioni amministrative tributarie”, a mente del quale: “1.  Le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica. 2.  Le disposizioni del comma 1 si applicano alle violazioni non ancora contestate o per le quali la sanzione non sia stata irrogata alla data di entrata in vigore del presente decreto. 3.  Nei casi di cui al presente articolo le disposizioni del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, si applicano in quanto compatibili”.

L’articolo 7, comma 2, del riferito decreto prevede che le disposizioni riguardanti la responsabilità diretta della persona giuridica, in materia di sanzioni amministrative tributarie, “si applica alle violazioni non ancora contestate o per le quali la sanzione non sia stata irrogata alla data di entrata in vigore del decreto”, ossia al 2 ottobre 2003. La norma vigente, quindi, si applica non solo agli illeciti commessi dal 2 ottobre 2003, ma anche a quelli posti in essere antecedentemente, per i quali, alla predetta data, non sia stato ancora notificato l’atto di contestazione di cui all’articolo 16 del D.lgs. n. 472/1997 o per i quali la sanzione non sia stata ancora irrogata. (Cass. n. 13730/2015). Le persone fisiche, pertanto, continueranno a rispondere personalmente delle violazioni pregresse, commesse nella qualità di amministratore delle società o enti con personalità giuridica, nei casi in cui alla data del 2 ottobre 2003, in relazione a dette violazioni, sia stato notificato l’atto di contestazione o l’atto di irrogazione della sanzione.

Di converso, se alla data di entrata in vigore del decreto legge la violazione non è stata ancora contestata o sanzionata, ne risponde esclusivamente la persona giuridica, ancorché si tratti di violazioni commesse prima del 2 ottobre 2003 (Circ. Entrate n. 28 /E del 21 giugno 2004).

La Suprema Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 25284/2017, ha così espressamente esteso l’ambito di applicazione soggettivo dell’esimente prevista dal D.L. n. 269/2003, articolo 7, comma 1, all’amministratore di fatto. In particolare, nella suddetta ordinanza, la Corte di Cassazione ha affermato che “le sanzioni amministrative relative al rapporto tributario proprio di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica anche quando questa è “gestita” da un amministratore di fattoInvero, “il D.L. n. 269 del 2003, art. 7, rubricato significativamente “Riferibilità esclusiva alla persona giuridica delle sanzioni amministrative tributarie”, dispone, al comma 1, che “Le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica”, e, al comma 3, che “Nei casi di cui al presente articolo le disposizioni del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, si applicano in quanto compatibili.”. Nessun distinguo, quindi, è previsto con riferimento agli amministratori di fatto. Nè una soluzione diversa può essere desunta dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 9, che disciplina in termini generali il concorso di persone nella violazione tributaria, ma non si pone come deroga al D.L. n. 269 del 2003, art. 7, posto che questo, da un lato, è stato introdotto successivamente all’art. 9 cit., e, dall’altro, prevede l’applicabilità delle disposizioni di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 7, solo “in quanto compatibili”.

Quindi, secondo la interpretazione giurisprudenziale di maggioranza, la Corte di Cassazione reputa che le sanzioni tributarie relative al rapporto fiscale proprio dell’ente, irrogate nei confronti degli amministratori di fatto, devono ritenersi illegittime in virtù dell’articolo 7 del D.L. n. 269/2003.

Sempre con riferimento all’ambito di applicazione della norma in esame, è opportuno evidenziare che la Suprema Corte, nella Sentenza n. 5924/2017, dopo aver rilevato che “all’amministratore di fatto risulta pienamente applicabile l’esimente di cui al D.L. n. 269 del 2003, art. 7”,ha chiarito che “… ove sia dimostrato che la persona giuridica sia stata costituita artificiosamente, a fini illeciti, le sanzioni amministrative tributarie possono essere irrogate nei confronti della persona fisica che ha beneficiato materialmente delle violazioni contestate. In tal caso, la persona fisica che ha agito per conto della società è, nel contempo, trasgressore e contribuente, e la persona giuridica è una mera fictio, creata nell’esclusivo interesse della persona fisica. Non opera pertanto il D.L. n. 269 del 2003, art. 7, secondo cui nel caso di rapporti fiscali facenti capo a persone giuridiche le sanzioni possono essere irrogate nei soli confronti dell’ente, in quanto detta norma “intende regolamentare le ipotesi in cui vi sia una differenza tra trasgressore e contribuente, e, in particolare, l’ipotesi di un amministratore di una persona giuridica che, in forza del proprio mandato, compie violazioni nell’interesse della persona giuridica medesima”.

Pertanto, alla luce della giurisprudenza sopra citata, la sanzione relativa al rapporto tributario proprio di società irrogata nei confronti dell’amministratore, deve ritenersi ora sempre illegittima, salvo che la persona giuridica sia in concreto priva di autonomia e rappresenti solo uno schermo attraverso cui l’amministratore agisca come effettivo soggetto. 

Tale precisazione della Suprema Corte, sull’esclusione dall’ambito di applicazione dell’esimente, non riguarderà solo l’amministratore di fatto ma anche l’amministratore di diritto, il socio o altri soggetti che si dimostri abbiano beneficiato della fittizietà della costituzione della società.

Infine, con pronunzia, la n. 32594/2019, gli Ermellini avevano giudicato che l’amministratore di fatto di una società alla quale sia riferibile il rapporto fiscale ne risponde direttamente solo quando le violazioni siano contestate o le sanzioni irrogate antecedentemente alla data di entrata in vigore del citato d.l. n. 269 del 2003, stante la disposizione di diritto transitorio di cui all’art. 7, comma 2, del menzionato decreto e la disciplina precedentemente vigente dettata dagli artt. 3, comma 2, e 11 del D.lgs. n. 472/ 1997. In altre parole, l’amministratore di fatto non è responsabile in solido delle sanzioni inflitte alla società per il mancato versamento delle imposte, salvo che l’Ufficio non riesca a dimostrare che sia una società artificiosamente costituita.

Dello stesso tenore anche la più recente ordinanza n. 1904/2020, nella quale i Supremi Giudici hanno riaffermato che “Le sanzioni amministrative relative al rapporto tributario proprio di società o enti con personalità giuridica, ex art. 7 del d.l. n. 269 del 2003 (conv. con modif. in l. n. 326 del 2003), sono esclusivamente a carico della persona giuridica anche quando sia gestita da un amministratore di fatto, non potendosi fondare un eventuale concorso di quest’ultimo nella violazione fiscale sul disposto di cui all’art 9 del d.lgs. n. 472 del 1997, che non può costituire deroga al predetto art. 7, ad esso successivo, che invece prevede l’applicabilità delle disposizioni del d.lgs. n. 472 ma solo in quanto compatibili, non può ritenersi operante anche nell’ipotesi di società artificiosamente costituita”,chiarendo così il tema dell’applicazione delle sanzioni quando è coinvolto l’amministratore di fatto di una società.

Tanto premesso, e tornando al caso in esame, la vicenda ha riguardato una S.r.l. e un contribuente ritenuto amministratore di fatto a cui veniva notificato un atto di contestazione di illecito tributario e di irrogazione delle relative sanzioni, per il suo concorso nelle violazioni tributarie con recupero delle maggiori imposte accertate e applicazione delle relative sanzioni amministrative pecuniarie, stante l’ingerenza dell’amministratore di fatto nella gestione della stessa società.

La S.r.l.. è stata a sua volta ritenuta dall’Ufficio responsabile in solido con il legale rappresentante. L’amministratore è ricorso alla giustizia tributaria e dopo alterne vicende l’Agenzia delle Entrate si rivolgeva in Cassazione affidando le doglianze in quattro motivi, in cui essenzialmente lamentava che non vi sarebbe invece ragione di escludere che rispondano delle violazioni, e delle relative sanzioni amministrative, anche le persone fisiche che non agendo in nome e per conto della persona giuridica che ha commesso l’illecito tributario, abbiano comunque concorso alla sua realizzazione, in virtù di un rapporto, con la prima, diverso da quello di immedesimazione organica. Sarebbe infatti comunque applicabile, in tal caso, l’art. 9, D.lgs. n. 472/1997, per il quale “Quando più persone concorrono in una violazione, ciascuna di esse soggiace alla sanzione per questa disposta. Tuttavia, quando la violazione consiste nell’omissione di un comportamento cui sono obbligati in solido più soggetti, è irrogata una sola sanzione e il pagamento eseguito da uno dei responsabili libera tutti gli altri, salvo il diritto di regresso”. Tale tesi proposta dall’Amministrazione finanziaria non ha convinto gli Ermellini, che invece hanno voluto ricordare che “… Il motivo non è inammissibile, come eccepito dal contro ricorrente con riferimento a tutti i tre motivi del ricorso principale, per la mancata censura dell’ulteriore, ed alternativa, ratio decidendi sulla quale si fonda la decisione impugnata, nella parte in cui afferma, in motivazione, che «Peraltro, non è stato dimostrato che il sig. B. abbia tratto specifici e personali benefici dall’operazione controversa». Infatti, proprio all’interno ed a conclusione del primo motivo, l’Ufficio ricorrente censura anche tale argomentazione del giudice a quo, affermandone l’irrilevanza, ai fini della decisione, rispetto alla fattispecie legale astratta che si assume violata e falsamente applicata, atteso che il conseguimento di uno specifico e personale beneficio da parte del soggetto che concorra nella realizzazione dell’illecito tributario non è un elemento necessario per configurarne la responsabilità ai sensi dell’art. 9 d.lgs. n. 472 del 1997. Tale conclusione del ricorrente, nella prospettazione del primo motivo di ricorso, censura quindi anche la predetta argomentazione esposta dalla CTR, assumendo che sia neutra, ai fini della configurabilità in diritto della responsabilità del B. quale concorrente nella violazione tributaria in questione, la circostanza, e la sua prova, del perseguimento, da parte del medesimo controricorrente, di un beneficio personale.  Tanto premesso, il primo motivo del ricorso principale è infondato. Invero, non è contestato dalle parti, ed anzi è presupposto necessario delle loro difese, che al caso di specie si applichi l’art. 7 d.l. n. 269 del 2003, convertito senza modifiche dalla legge n. 326 del 2003 (sulla vigenza ratione temporis, circoscritta alle sole violazioni che non fossero state ancora contestate, né la relativa sanzione fosse stata irrogata, alla data – 2 ottobre 2003 – di entrata in vigore del decreto, cfr. Cass. 10/12/2014, n. 25993; Cass. 12/12/2019, n. 32594, ex plurimis). Questa Corte, nell’interpretare la norma in questione, ha già avuto modo di chiarire che «Le sanzioni amministrative relative al rapporto tributario proprio di società o enti con personalità giuridica, ex art. 7 del d.l. n. 269 del 2003 (conv. con modif. in I. n. 326 del 2003), sono esclusivamente a carico della persona giuridica anche quando sia gestita da un amministratore di fatto, non potendosi fondare un eventuale concorso di quest’ultimo nella violazione fiscale sul disposto di cui all’art 9 del d.lgs. n. 472 del 1997, che non può costituire deroga al predetto art. 7, ad esso successivo, che invece prevede l’applicabilità delle disposizioni del d.lgs. n. 472 ma solo in quanto compatibili» (Cass. 25/10/2017, n. 25284; nello stesso senso cfr. Cass. 28/08/2013, n. 19716; Cass. 11/3/2016, n. 4775; Cass. 08/03/2017, n. 5924; Cass. 07/11/2018, n. 28331; Cass. 18/04/2019, n. 10975).  La circostanza che tale costante orientamento giurisprudenziale sia maturato prevalentemente (ma si veda Cass. 11/3/2016, n. 4775, con riferimento alla figura del consulente esterno) in materia di amministratore di fatto della persona giuridica contribuente non ne esclude la pertinenza anche a fattispecie, quali quella sub iudice, nelle quali il preteso concorrente non è collegato alla prima da alcun rapporto organico, neppure meramente fattuale. Infatti, l’esclusione del concorso sanzionabile di terzi concorrenti nella violazione della contribuente persona giuridica è fondata, a monte, sull’inequivoco dato testuale del ridetto art. 7 del d.l. n. 269 del 2003, il quale tanto nel titolo («Riferibilità esclusiva alla persona giuridica…»), quanto nel disposto («…sono esclusivamente a carico della persona giuridica…»), esprime in maniera chiara la volontà legislativa di riferire le sanzioni amministrative tributarie esclusivamente alla persona giuridica contribuente (in conformità alla dichiarata intenzione, espressa nella relazione governativa al d.l. in questione, di superare, quanto meno per le strutture imprenditoriali complesse, lo schema personalistico di imputazione delle sanzioni amministrative previgente), con conseguente esclusione, confermata dalla clausola di compatibilità di cui al terzo comma della stessa norma, dell’applicabilità del precedente art. 9 d.lgs. n. 472 del 1997, al fine di configurare il concorso di ulteriori soggetti nella stessa violazione, indipendentemente dalla sussistenza, o meno, di una loro relazione organica (formale o fattuale) con la stessa persona giuridica. La tesi contraria dell’Amministrazione ricorrente, che vorrebbe circoscrivere l’esclusione della punibilità, disposta dall’art. 7 d.l. n. 269 del 2003, alle sole persone fisiche “interne” alla persona giuridica contribuente cui è imputata la violazione sanzionata (perché legate ad essa da un rapporto organico), con conseguente sanzionabilità, ex art. 9 d.lgs. n. 472 del 1997, dei soggetti (persone fisiche, ma anche soggetti collettivi, siano o meno, a loro volta, persone giuridiche) con essa concorrenti, si fonda invece sul dato testuale ricavato dall’incipit della medesima disposizione, che si riferisce alle «sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale». Non è tuttavia chiaro il motivo per il quale (a fronte dell’inequivoco dettato normativo appena richiamato), la mera menzione del «rapporto fiscale», la cui funzione testuale pare logicamente quella di specificare a quali «sanzioni amministrative» si riferisca la disposizione in commento e di correlarne l’applicabilità alla qualità di contribuente e parte del rapporto tributario, dovrebbe costituire invece un criterio legislativo di selezione tra concorrenti “interni” (non punibili) ed “esterni” (sanzionabili) rispetto alla persona giuridica contribuente. Piuttosto – come del resto rileva persino la dottrina minoritaria favorevole alla configurabilità del concorso sanzionabile della persona fisica terza rispetto alla società persona giuridica – il legislatore, con la formula in questione, imputa la sanzione alla persona giuridica in base alla “titolarità del rapporto tributario”, ma non accenna alla qualità in cui abbia agito l’eventuale trasgressore concorrente. Sostiene infine l’Amministrazione ricorrente che, per effetto del “doppio binario” nel sistema di imputazione della responsabilità per le sanzioni amministrative tributarie, venutosi a creare con l’introduzione dell’art. 7 d.l. n. 269 del 2003, così come interpretato dalla citata giurisprudenza, verrebbe allora a crearsi una possibile discriminazione, che si assume ingiustificata e costituzionalmente illegittima, a danno dei terzi concorrenti “esterni” nella violazione tributaria commessa da contribuenti che siano soggetti collettivi privi di personalità giuridica o persone fisiche, i quali sarebbero sanzionabili ex art. 9 d.lgs. n. 472 del 1997, fondato su un’imputazione personale della responsabilità in materia; mentre gli stessi concorrenti “esterni” andrebbero esenti da sanzioni se, tenendo la medesima condotta, avessero però concorso nella violazione di una contribuente dotata di personalità giuridica, alla quale soltanto, in ragione della titolarità del rapporto tributario, l’art. 7 d.l. n. 269 del 2003 imputa la responsabilità. Al riguardo deve tuttavia rilevarsi che l’ipotetica illegittimità costituzionale del trattamento deteriore che si assume riservato, per effetto del cosiddetto “doppio binario”, ai terzi concorrenti “esterni” nelle violazioni commesse da una contribuente che non sia una persona giuridica, non rileva ai fini di questa decisione, atteso che essa non potrebbe comunque giustificare un’ interpretazione adeguatrice dell’art. 7 d.l. n. 269 del 2003 che si risolvesse nell’estensione del ritenuto peggior trattamento anche a chi (come nel caso di specie) abbia concorso nelle violazioni tributarie di una persona giuridica, conducendo, in violazione del principio di legalità, alla creazione di una fattispecie di responsabilità che il legislatore ha invece espressamente escluso, limitandola esplicitamente alla sola contribuente dotata di personalità giuridica”.

Corte di Cassazione – Sentenza 22 maggio 202, n. 9450

Rilevato che

1. L’Agenzia delle Entrate ha emesso, nei confronti di S. B., atto di contestazione di illecito tributario e di irrogazione delle relative sanzioni, per il suo concorso nelle violazioni tributarie commesse dalla C. s.r.l., nell’anno d’imposta 2005.

Assumeva l’Amministrazione che la SCF s.p.a. – tramite lo stesso S. B., che ne era legale rappresentante, ed il terzo A.B. – aveva proposto una complessa operazione finanziaria alla C. s.r.l., al fine di consentire a quest’ultima di ottenere indebiti risparmi d’imposta, per il tramite di una società ubicata nella Repubblica ceca, con la quale la società italiana aveva concluso un mutuo azionario ed un connesso pegno su titoli, attraverso i quali sarebbero state simulate inesistenti scommesse sui risultati economici di società, a loro volta inesistenti o sconosciute, con sede in paradisi fiscali, allo scopo effettivo di ridurre illegittimamente la base imponibile Ires della medesima C. s.r.l. dalla quale erano stati integralmente dedotti i costi sostenuti per le commissioni pagate alla società ceca ed erano stati esclusi, nella misura del 95%, ai sensi dell’art. 89 t.u.i.r., i pretesi dividendi, in realtà meramente fittizi.

L’Ufficio, pertanto, ha recuperato a tassazione i maggiori imponibili della C. s.r.l., che ha prestato adesione al relativo processo verbale di constatazione, definendo integralmente le maggiori imposte e le sanzioni contestate.

Tanto premesso, l’Ufficio ha contestato al predetto S.B. di avere, quale legale rappresentante della SCF s.p.a. ed in nome e per conto di quest’ultima, concorso, ex art. 9 d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, all’illecito tributario commesso dalla contribuente C. s.r.l., promuovendo l’adesione di quest’ultima all’operazione de qua, fornendole gli strumenti negoziali necessari alla sua realizzazione e svolgendo un ruolo di collegamento tra tutti i soggetti coinvolti.

La SCF s.p.a. è stata, a sua volta, ritenuta dall’Ufficio responsabile in solido con il suo legale rappresentante, per la violazione commessa da quest’ultimo in concorso con la società contribuente, ai sensi dell’art. 11 d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472.

2. S. B. ha impugnato l’atto di contestazione dinnanzi la Commissione tributaria provinciale di Modena, che ha rigettato il ricorso.

3. Lo stesso S.B. ha quindi proposto appello avverso la sentenza di primo grado e l’adita Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, con la sentenza n. 7/9/2012, depositata in data 23 gennaio 2013 e notificata il 14 marzo 2013, lo ha accolto.

4. Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per la cassazione, affidato a quattro motivi, l’Amministrazione.

5. S.B. si è costituito con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale condizionato, affidato a quattro motivi, e successivamente depositando memoria.

Considerato che

1. Con il primo motivo del ricorso principale, formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., la ricorrente Agenzia denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 7 d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito senza modifiche dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, per avere il giudice a quo ritenuto che la limitazione della responsabilità alla sola persona giuridica, prevista da tale disposizione, operi anche nell’ipotesi di concorso di persone nella violazione di norme tributarie, disciplinato dall’art. 9 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472.

Infatti, secondo l’ufficio ricorrente, l’art. 7, comma 1, d.l. n. 269 del 2003, laddove statuisce che « Le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica», escluderebbe l’applicabilità delle sanzioni, per il concorso negli illeciti tributari puniti con sanzioni amministrative, soltanto relativamente alle persone fisiche titolari di organi della stessa società contribuente, con personalità giuridica, che abbiano materialmente commesso la violazione dalla quale quest’ultima ha tratto vantaggio.

L’esclusione della punibilità, quindi, riguarderebbe soltanto le persone fisiche legate da rapporto organico alla persona giuridica contribuente cui è imputata la violazione sanzionata, come testimonierebbe l’incipit della disposizione, riferendosi alle «sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale», dato testuale che, secondo l’Amministrazione ricorrente, anche .a prescindere dal successivo avverbio «esclusivamente», circoscriverebbe l’esenzione da responsabilità alle sole persone fisiche che, tramite il rapporto organico, si immedesimano nella persona giuridica contribuente, nel nome e per conto della quale operano.

Non vi sarebbe invece ragione, sempre secondo l’Amministrazione ricorrente, in base al predetto dato testuale, di escludere che rispondano delle violazioni, e delle relative sanzioni amministrative, anche le persone fisiche che, come lo stesso B., non agendo in nome e per conto della persona giuridica che ha commesso l’illecito tributario, abbiano comunque concorso alla realizzazione di quest’ultimo, in virtù di un rapporto, con la prima, diverso da quello di immedesimazione organica. Sarebbe infatti comunque applicabile, in tal caso, l’art. 9 d.lgs. n. 472 del 1997, per il quale «Quando più persone concorrono in una violazione, ciascuna di esse soggiace alla sanzione per questa disposta. Tuttavia, quando la violazione consiste nell’omissione di un comportamento cui sono obbligati in solido più soggetti, è irrogata una sola sanzione e il pagamento eseguito da uno dei responsabili libera tutti gli altri, salvo il diritto di regresso.».

Inoltre, secondo l’Ufficio, qualora tali persone fisiche “esterne” avessero commesso la violazione nell’esercizio delle loro funzioni od incombenze di dipendenti, rappresentanti o amministratori, anche di fatto, di altra società (o associazione od ente), con o senza personalità giuridica, anche quest’ ultima, e nel caso di specie la SCF s.p.a., sarebbe responsabile in solido, ex art. 11 d.l. n. 269 del 2003, delle relative sanzioni amministrative.

1.1. Il motivo non è inammissibile, come eccepito dal contro ricorrente con riferimento a tutti i tre motivi del ricorso principale, per la mancata censura dell’ulteriore, ed alternativa, ratio decidendi sulla quale si fonda la decisione impugnata, nella parte in cui afferma, in motivazione, che «Peraltro, non è stato dimostrato che il sig. B. abbia tratto specifici e personali benefici dall’operazione controversa».

Infatti, proprio all’interno ed a conclusione del primo motivo, l’Ufficio ricorrente censura anche tale argomentazione del giudice a quo, affermandone l’irrilevanza, ai fini della decisione, rispetto alla fattispecie legale astratta che si assume violata e falsamente applicata, atteso che il conseguimento di uno specifico e personale beneficio da parte del soggetto che concorra nella realizzazione dell’illecito tributario non è un elemento necessario per configurarne la responsabilità ai sensi dell’art. 9 d.lgs. n. 472 del 1997.

Tale conclusione del ricorrente, nella prospettazione del primo motivo di ricorso, censura quindi anche la predetta argomentazione esposta dalla CTR, assumendo che sia neutra, ai fini della configurabilità in diritto della responsabilità del B. quale concorrente nella violazione tributaria in questione, la circostanza, e la sua prova, del perseguimento, da parte del medesimo controricorrente, di un beneficio personale.

1.2. Tanto premesso, il primo motivo del ricorso principale è infondato.

Invero, non è contestato dalle parti, ed anzi è presupposto necessario delle loro difese, che al caso di specie si applichi l’art. 7 d.l. n. 269 del 2003, convertito senza modifiche dalla legge n. 326 del 2003 (sulla vigenza ratione temporis, circoscritta alle sole violazioni che non fossero state ancora contestate, né la relativa sanzione fosse stata irrogata, alla data – 2 ottobre 2003 – di entrata in vigore del decreto, cfr. Cass. 10/12/2014, n. 25993; Cass. 12/12/2019, n. 32594, ex plurimis).

Questa Corte, nell’interpretare la norma in questione, ha già avuto modo di chiarire che «Le sanzioni amministrative relative al rapporto tributario proprio di società o enti con personalità giuridica, ex art. 7 del d.l. n. 269 del 2003 (conv. con modif. in I. n. 326 del 2003), sono esclusivamente a carico della persona giuridica anche quando sia gestita da un amministratore di fatto, non potendosi fondare un eventuale concorso di quest’ultimo nella violazione fiscale sul disposto di cui all’art 9 del d.lgs. n. 472 del 1997, che non può costituire deroga al predetto art. 7, ad esso successivo, che invece prevede l’applicabilità delle disposizioni del d.lgs. n. 472 ma solo in quanto compatibili» (Cass. 25/10/2017, n. 25284; nello stesso senso cfr. Cass. 28/08/2013, n. 19716; Cass. 11/3/2016, n. 4775; Cass. 08/03/2017, n. 5924; Cass. 07/11/2018, n. 28331; Cass. 18/04/2019, n. 10975).

La circostanza che tale costante orientamento giurisprudenziale sia maturato prevalentemente (ma si veda Cass. 11/3/2016, n. 4775, con riferimento alla figura del consulente esterno) in materia di amministratore di fatto della persona giuridica contribuente non ne esclude la pertinenza anche a fattispecie, quali quella sub iudice, nelle quali il preteso concorrente non è collegato alla prima da alcun rapporto organico, neppure meramente fattuale.

Infatti, l’esclusione del concorso sanzionabile di terzi concorrenti nella violazione della contribuente persona giuridica è fondata, a monte, sull’inequivoco dato testuale del ridetto art. 7 del d.l. n. 269 del 2003, il quale tanto nel titolo («Riferibilità esclusiva alla persona giuridica…»), quanto nel disposto («…sono esclusivamente a carico della persona giuridica…»), esprime in maniera chiara la volontà legislativa di riferire le sanzioni amministrative tributarie esclusivamente alla persona giuridica contribuente (in conformità alla dichiarata intenzione, espressa nella relazione governativa al d.l. in questione, di superare, quanto meno per le strutture imprenditoriali complesse, lo schema personalistico di imputazione delle sanzioni amministrative previgente), con conseguente esclusione, confermata dalla clausola di compatibilità di cui al terzo comma della stessa norma, dell’applicabilità del precedente art. 9 d.lgs. n. 472 del 1997, al fine di configurare il concorso di ulteriori soggetti nella stessa violazione, indipendentemente dalla sussistenza, o meno, di una loro relazione organica (formale o fattuale) con la stessa persona giuridica.

La tesi contraria dell’Amministrazione ricorrente, che vorrebbe circoscrivere l’esclusione della punibilità, disposta dall’art. 7 d.l. n. 269 del 2003, alle sole persone fisiche “interne” alla persona giuridica contribuente cui è imputata la violazione sanzionata (perché legate ad essa da un rapporto organico), con conseguente sanzionabilità, ex art. 9 d.lgs. n. 472 del 1997, dei soggetti (persone fisiche, ma anche soggetti collettivi, siano o meno, a loro volta, persone giuridiche) con essa concorrenti, si fonda invece sul dato testuale ricavato dall’incipit della medesima disposizione, che si riferisce alle «sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale».

Non è tuttavia chiaro il motivo per il quale (a fronte dell’inequivoco dettato normativo appena richiamato), la mera menzione del «rapporto fiscale», la cui funzione testuale pare logicamente quella di specificare a quali «sanzioni amministrative» si riferisca la disposizione in commento e di correlarne l’applicabilità alla qualità di contribuente e parte del rapporto tributario, dovrebbe costituire invece un criterio legislativo di selezione tra concorrenti “interni” (non punibili) ed “esterni” (sanzionabili) rispetto alla persona giuridica contribuente. Piuttosto – come del resto rileva persino la dottrina minoritaria favorevole alla configurabilità del concorso sanzionabile della persona fisica terza rispetto alla società persona giuridica – il legislatore, con la formula in questione, imputa la sanzione alla persona giuridica in base alla “titolarità del rapporto tributario”, ma non accenna alla qualità in cui abbia agito l’eventuale trasgressore concorrente.

Sostiene infine l’Amministrazione ricorrente che, per effetto del “doppio binario” nel sistema di imputazione della responsabilità per le sanzioni amministrative tributarie, venutosi a creare con l’introduzione dell’art. 7 d.l. n. 269 del 2003, così come interpretato dalla citata giurisprudenza, verrebbe allora a crearsi una possibile discriminazione, che si assume ingiustificata e costituzionalmente illegittima, a danno dei terzi concorrenti “esterni” nella violazione tributaria commessa da contribuenti che siano soggetti collettivi privi di personalità giuridica o persone fisiche, i quali sarebbero sanzionabili ex art. 9 d.lgs. n. 472 del 1997, fondato su un’imputazione personale della responsabilità in materia; mentre gli stessi concorrenti “esterni” andrebbero esenti da sanzioni se, tenendo la medesima condotta, avessero però concorso nella violazione di una contribuente dotata di personalità giuridica, alla quale soltanto, in ragione della titolarità del rapporto tributario, l’art. 7 d.l. n. 269 del 2003 imputa la responsabilità.

Al riguardo deve tuttavia rilevarsi che l’ipotetica illegittimità costituzionale del trattamento deteriore che si assume riservato, per effetto del cosiddetto “doppio binario”, ai terzi concorrenti “esterni” nelle violazioni commesse da una contribuente che non sia una persona giuridica, non rileva ai fini di questa decisione, atteso che essa non potrebbe comunque giustificare un’ interpretazione adeguatrice dell’art. 7 d.l. n. 269 del 2003 che si risolvesse nell’estensione del ritenuto peggior trattamento anche a chi (come nel caso di specie) abbia concorso nelle violazioni tributarie di una persona giuridica, conducendo, in violazione del principio di legalità, alla creazione di una fattispecie di responsabilità che il legislatore ha invece espressamente escluso, limitandola esplicitamente alla sola contribuente dotata di personalità giuridica.

1.3. Giova precisare, per completezza, che nel caso di specie l’Amministrazione non ha imputato al controricorrente di aver agito, con la condotta che integrerebbe il preteso concorso sanzionabile nella violazione tributaria della società di capitali contribuente, al fine di perseguire un proprio interesse personale (circostanza, peraltro, esclusa in fatto dalla stessa sentenza impugnata, e non contestata dalla ricorrente, se non sotto il profilo della sua irrilevanza rispetto alle fattispecie legali astratte applicabili). Tanto meno l’Ufficio ha sostenuto che la struttura societaria della contribuente costituisse un mero strumento fittizio del quale il controricorrente si sia servito per conseguire un proprio vantaggio fiscale indebito.

Pertanto, nel caso di specie non vengono in rilievo i presupposti fattuali sulla base dei quali la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto in alcuni casi che, nonostante il dettato dell’art. 7 d.l. n. 269 del 2003, trovi applicazione la regola generale sulla responsabilità personale dell’autore della violazione commessa nell’interesse esclusivamente proprio, e sia quindi sanzionabile la persona fisica autrice della violazione che non abbia agito nell’interesse della società, ma abbia perseguito un interesse proprio o comunque diverso da quello sociale (Cass. 09/05/2019, n. 12334, e giurisprudenza ivi citata in motivazione, ex plurimis), o che abbia artificiosamente costruito una società per fini illeciti e personali, poiché in tal caso la persona giuridica è una mera fictio creata nell’interesse della persona fisica, esclusiva beneficiaria delle violazioni, sicché non vi è alcuna differenza fra trasgressore e contribuente (Cass. 18/04/2019, n. 10975; cfr. altresì, in motivazione, Cass. 08/03/2017, n. 5924 e Cass. 28/08/2013, n. 19716).

2. Per effetto del rigetto del primo motivo, resta quindi assorbito il secondo motivo del ricorso principale, formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., con il quale la ricorrente Agenzia denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 7, quarto comma, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nonché degli artt. 2727 e 2729 cod. civ., per avere il giudice a quo escluso che le dichiarazioni rese da terzi (nel caso di specie dal direttore commerciale della società verificata) e raccolte in un processo verbale di constatazione possano avere rilevanza probatoria.

3. Parimenti assorbiti, per effetto del rigetto del primo motivo, sono il terzo ed il quarto motivo del ricorso principale, formulati ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ., con i quali la ricorrente Agenzia denuncia l’insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata circa fatti controversi e decisivi per il giudizio, o, in subordine, l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti.

4. Resta infine interamente assorbito anche il ricorso incidentale del controricorrente, condizionato all’eventuale accoglimento di quello principale.

5. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

6. Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13 comma 1- quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale;

condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.700,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 30 gennaio 2020.

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