CASSAZIONE

In sede giudiziale il via libera alla compensazione tra Fisco e contribuente

Dichiarazione dei redditi – IRES – Compensazione legale e giudiziale – Art. 1243 cod.civ.  – Diritto di detrazione – Credito d’imposta – Ammissibilità

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 21082  del 7 agosto 2019, intervenendo in tema di compensazione legale e giudiziale ha stabilito che qualora il contribuente agisca in giudizio per ottenere il rimborso di un proprio credito d’imposta, l’Agenzia delle Entrate può legittimamente opporre in compensazione i propri crediti certi, liquidi ed esigibili.

In buona sostanza, i Supremi giudici di legittimità hanno ritenuto che nel caso in cui il contribuente agisca in giudizio per ottenere il rimborso di un proprio credito di imposta l’Amministrazione finanziaria, ferma restando la facoltà di esercitare a discrezione i poteri autoritativi di sospensione del pagamento delle somme pretese dal creditore e di pronuncia di compensazione nel caso sia a propria volta titolare di controcrediti tributari nei confronti del contribuente, è comunque legittimata, nel corso del giudizio instaurato dal contribuente creditore, a compensare i propri crediti certi, liquidi ed esigibili. Spetta poi al giudice la verifica dei requisiti richiesti per la pronuncia della compensazione legale.

Al riguardo crediamo che fornire una nozione di “credito d’imposta” vantato dal contribuente, su cui ruota il ragionamento posto alla base della questione posta alla S.C. e che non abbia valenza meramente descrittiva, è opera di non facile soluzione: il tema è particolarmente complesso e in questa sede si cercherà l’opportunità di fornire una descrizione in ragione delle più recenti tendenze giurisprudenziali in materia.

A questo proposito è opportuno, innanzitutto, fare riferimento alla ben nota sentenza 30 giugno 2016, n. 13378, nella quale le Sezioni Unite hanno preso espressa posizione in ordine alle modalità entro cui il contribuente può far valere le proprie posizioni creditorie nei confronti del Fisco e, in particolare, entro cui emendare la dichiarazione dei redditi a proprio vantaggio.

I giudici di legittimità – esprimendosi sulla portata dei co. 8 e 8-bis dell’art. 2, DPR 322/1998, nel testo vigente ratione temporis – hanno tra l’altro affermato che la possibilità di emendare la dichiarazione in bonam partem concessa al contribuente dal co. 8-bis “per correggere errori od omissioni che abbiano determinato l’indicazione di un maggior reddito o, comunque, di un maggior debito d’imposta o di un minor credito”, è stata prevista per garantire “una tutela distinta dalla domanda di rimborso e dai rimedi esperibili in sede giurisdizionale”.

La procedura di rimborso dei versamenti diretti di cui all’art. 38, DPR 602/1973 “è esercitabile entro il termine di decadenza di quarantotto mesi dalla data del versamento, indipendentemente dai termini e modalità della dichiarazione integrativa di cui all’art. 2 comma 8-bis”, perché siamo in presenza di due discipline del tutto autonome e non confondibili.

A questo proposito è precisato che “ove il contribuente opti per la presentazione dell’istanza di rimborso di cui all’art. 38 cit., verrà introdotto un autonomo procedimento amministrativo (in cui l’istanza di parte costituisce l’atto di impulso della fase iniziale) del tutto distinto dall’attività di controllo automatizzato – formale ed in rettifica – originato dalla mera presentazione della dichiarazione fiscale”. In ogni caso il contribuente “in sede contenziosa, può sempre opporsi alla maggiore pretesa tributaria dell’amministrazione finanziaria, allegando errori, di fatto o di diritto, commessi nella redazione della dichiarazione, incidenti sull’obbligazione tributaria”.

Per le Sezioni Unite, “oggetto del contenzioso giurisdizionale è, infatti, l’accertamento circa la legittimità della pretesa impositiva, quand’anche fondata sulla base dei dati forniti dal contribuente”, di modo che il contribuente può sempre fornire la dimostrazione “anche di errori o omissioni presenti nella dichiarazione fiscale” e opporsi alla maggiore pretesa tributaria azionata dal Fisco.

È stato ancora più chiaramente affermato, in altra sede, che “dinanzi alla posizione del contribuente quale titolare di diritti soggettivi perfetti derivanti dalla legge nazionale e dal diritto dell’UE, è il processo tributario, infatti, il contesto privilegiato nel quale l’esigenza della giusta imposizione trova la sua armonica realizzazione a prescindere da moduli procedimentali diretti a garantire ed agevolare l’azione amministrativa” (Cass., S.U., 8.9.2016, n. 17757, in tema di omessa presentazione della dichiarazione IVA).

Specularmente, per le S.U., l’Amministrazione finanziaria ha un’ampia possibilità di contestare la sussistenza di una propria posizione debitoria nei confronti del contribuente, in quanto i termini decadenziali previsti dall’ordinamento tributario “sono apposti solo alle attività di accertamento di un credito dell’Amministrazione e non a quelle con cui l’Amministrazione contesti la sussistenza di un suo debito”.

Per i giudici di legittimità, “decorso il termine per l’accertamento, all’Amministrazione viene consentito di contestare il contenuto di un atto del contribuente solo nella misura in cui tale contestazione consente all’Amministrazione di evitare un esborso e non invece sotto il profilo in cui la medesima contestazione comporterebbe la affermazione di un credito della Amministrazione”; tale conclusione non lascerebbe “senza difesa il contribuente, che ben può impugnare il silenzio della Amministrazione che non dia seguito alla istanza di rimborso, ottenendo sul punto una pronuncia giudiziale” (cfr. Cass., S.U., 15.3.2016, n. 5069, nonché Cass., 20.5.2016, n. 10479).

In conclusione, le S.U. hanno rilevato come sia il contribuente sia l’Amministrazione finanziaria possano contestare la dichiarazione “in via di eccezione” sine die e dall’altro, come anche in caso di omessa presentazione della dichiarazione, tali posizioni creditorie possano essere fatte valere dal contribuente dinanzi al giudice tributario in ogni tempo.

In sostanza, secondo la Suprema Corte non vi può essere distinzione – sotto il profilo della tutela processuale – tra diritto di credito che sorge da un indebito oggettivo (originario o successivo) derivante da un pregresso versamento non dovuto e che è oggetto, di norma, di un’autonoma azione di rimborso e posizioni “creditorie” vantate dal contribuente nell’ambito della procedura di liquidazione dell’imposta ed emergenti dalla dichiarazione tributaria, che derivano dal fisiologico meccanismo applicativo di tributi quali le imposte sui redditi e l’IVA.

E in senso analogo, peraltro, sembra essersi mosso anche il legislatore, che ha modificato la disciplina dei termini e delle modalità con cui emendare la dichiarazione. L’art. 5, Dl 193/2016 (cd. decreto fiscale) ha, tra l’altro, modificato l’art. 2, co. 8 e 8-bis del DPR 322/1998 e ha introdotto due nuovi commi nell’art. 8 del medesimo decreto (co. 6-bis e 6-ter), prevedendo un termine unico per la rettifica della dichiarazione tributaria – tanto a favore che in danno del contribuente – che coincide con lo spirare del termine previsto per l’accertamento delle imposte a favore dell’Amministrazione finanziaria.

La Legge di bilancio 2018 ha poi introdotto una nuova regola in merito ai limiti alle compensazioni mediante F24: l’Agenzia delle Entrate ha la facoltà di sospendere fino a 30 giorni l’esecutività delle deleghe di pagamento se contenenti compensazioni che presentano profili di rischio. Con la sospensione della delega di pagamento, l’Amministrazione finanziaria potrà controllare che l’operazione di compensazione non sia priva di rischi; per questo motivo, rimane sospesa fin tanto che l’Agenzia non avrà esaurito le verifiche previste, che dovranno concludersi entro 30 giorni dalla data di presentazione del modello F24.

In sostanza si ha la netta sensazione che il legislatore, sulla scia della giurisprudenza di legittimità, abbia voluto assicurare una tutela unitaria e omogenea alle diverse posizioni “creditorie” del contribuente, prescindendo dalla natura di esse – in termini di diritto di credito vero e proprio o di mere posizioni attive di vantaggio “endoprocedimentali” – nonché dai corretti moduli procedimentali nell’ambito dei quali tali diverse posizioni creditorie si producono e/o possono essere fatte valere, al fine di assicurare in ogni caso – anche tramite l’emendabilità “processuale” della dichiarazione – la giusta tassazione del contribuente e la sua “armonica” realizzazione.

Tornando al caso di specie, il giudizio posto all’attenzione della S.C. verte sul ricorso proposto da una società avverso il silenzio-rifiuto delle Entrate opposto a seguito della presentazione dell’istanza di rimborso di un credito acquistato da una società terza.

I fatti vedono una Srl che chiede all’Amministrazione finanziaria il rimborso di un credito d’imposta Ires di ben 1.300.000 eurorisalente al 2003e portato a nuovo di anno in anno dalla società ricorrente fino a quando la stessa non ne ha richiesto la restituzione. Successivamente detto credito veniva ceduto dalla Srl a un consorzio di banche che rinnovavano l’istanza di rimborso nei confronti dell’Agenzia delle Entrate: l’Amministrazione finanziaria non rispondeva all’istanza facendo valere il silenzio-rifiuto. Di conseguenza, veniva proposto ricorso davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Padova.

La CTP di Padova dava ragione al consorzio di banche ricorrenti e condannava l’Agenzia al rimborso della somma richiesta in restituzione. L’Agenzia delle Entrate ha impugnato allora la decisione lamentando l’erroneità del giudizio della CTR nella parte in cui aveva rigettato l’eccezione dell’Ufficio circa l’esistenza di crediti dell’Amministrazione finanziaria iscritti a ruolo a titolo definitivo, da opporre in compensazione al credito vantato dal contribuente. A parere dell’Agenzia il rimborso poteva avvenire solo dopo la compensazione tra debiti e crediti erariali.

Per dirimere la questione la Corte di legittimità ha prima di tutto precisato che l’Amministrazione finanziaria, al fine di poter opporre in compensazione il proprio credito nel corso del giudizio per il rimborso del credito d’imposta promosso dal contribuente, non era obbligata a emettere un autonomo provvedimento di sospensione ai sensi dell’art. 23, D.lgs. 472/1997.

Inoltre gli Ermellini hanno richiamato quanto era stato affermato nelle precedenti sentenze di merito, che di fatto esistevano in capo all’Agenzia delle Entrate crediti erariali, iscritti a ruolo a titolo definitivo, nei confronti delle banche del consorzio.

Tale circostanza era pacifica e non era stata contestata in alcun modo dalle parti. Di conseguenza, a parere del giudice di legittimità, la motivazione del giudice di primo grado che rigetta l’eccezione di compensazione dei crediti formulata dall’Agenzia delle Entrate non è corretta. La Corte di Cassazione ha quindi  accolto il ricorso presentato dall’Agenzia ricordando che “… Non è contestato dalle parti, e risulta dal testo della sentenza impugnata, che l’Amministrazione finanziaria vantava crediti erariali, iscritti a ruolo a titolo definitivo, sia nei confronti delle banche incorporate Cassa di Risparmio (euro 9.980) e Banca Antonveneta (euro 6.782) che nei confronti della incorporante Banca del Monte dei Paschi (euro 618.779), oltre a crediti non ancora definitivi relativi a controversie in corso.  La motivazione del giudice di primo grado, che rigetta l’eccezione di compensazione dei crediti formulatadalla Agenzia delle Entrate sull’assunto che “i ruoli evidenziati costituiscono mero atto interno non capace di paralizzare la richiesta del contribuente stesso” non è giuridicamente corretta. A norma degli art. 1, 12 e 49 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 l’iscrizione a ruolo definitivo attesta la titolarità da parte dell’Amministrazione finanziaria di un credito liquido ed esigibile nei confronti del contribuente e costituisce titolo esecutivo legittimante la riscossione della somma iscritta ruolo anche mediante esecuzione forzata. 3.2.Non è fondata la tesi esposta dalla controricorrente secondo cui l’Amministrazione finanziaria, al fine di poter opporre in compensazione il proprio credito nel corso del giudizio per il rimborso del credito di imposta promosso dal contribuente, doveva emettere un autonomo provvedimento di sospensione a norma dell’art. 23 d.lgs. 18 dicembre 1997 n. 472. Tale norma – come evidenziato dalla sedes materiae – riguardava originariamente la facoltà della Amministrazione di disporre la sospensione del pagamento o la compensazione dei crediti vantati dal contribuente nei confronti della Amministrazione finanziaria qualora essa a propria volta vantasse ragioni creditorie derivanti specificamente dalla irrogazione di sanzioni tributarie, le quali, se prive del carattere della definitività, legittimavano la sospensione provvisoria del pagamento del credito del contribuente; se contenute in provvedimenti divenuti definitivi, legittimavano l’Ufficio alla pronuncia della compensazione. A seguito delle modifiche all’art. 23 comma 1 del d.lgs. n. 472 del 1997, introdotte dall’art. dall’art. 16 comma 1 lett. h) d.lgs. n. 158 del 2015 (aventi efficacia a decorrere dal 1 gennaio 2016), la facoltà della Amministrazione finanziaria di disporre con appositi provvedimenti la sospensione o la compensazione dei crediti vantati dal contribuente in presenza di propri controcrediti derivanti dall’obbligo di pagamento delle sanzioni, è stato esteso negli stessi termini all’ipotesi in cui la Amministrazione finanziaria sia titolare di controcrediti derivanti da maggiori tributi dovuti (in via non definitiva o definitiva) dal contribuente che fa valere il credito di imposta. In riferimento all’istituto del “fermo di pagamento” previsto dall’art. 69 ult. comma regio decreto 18.11.1923 n. 2440 che consente ad un’Amministrazione dello Stato, che abbia ragioni di credito verso soggetti aventi diritto a somme di denaro dovute da altre Amministrazioni, di richiedere ed ottenere la sospensione del pagamento spettante al creditore della pubblica Amministrazione, questa Corte ha precisato che “si tratta di uno strumento eccezionalmente attribuito all’amministrazione obbligata, atto a differire in via provvisoria il soddisfacimento di un credito liquido ed esigibile, comportante l’affievolimento sia pure temporaneo del diritto di credito del privato.Da tali caratteristiche dell’istituto discende che il “fermo”, cioè la sospensione del pagamento delle somme dovute dall’Amministrazione non può prescindere dalla adozione di un provvedimento formale, emesso nell’esercizio di un potere discrezionale dall’autorità competente e dotato dei requisiti prescritti dalla legge” (pag.4 Sez.5 n.23601 del 2011). Allo stesso modo i poteri di sospensione del pagamento e di compensazione del credito, previsti dall’art.23 del d.lgs. n.472 del 1997, sono finalizzati ad una tutela rafforzata del credito erariale, consentendo alla Amministrazione finanziaria di adottare discrezionalmente provvedimenti autoritativi (comunque soggetti ad impugnazione e controllo giurisdizionale) con i quali l’ente impositore dispone unilateralmente la sospensione del pagamento o pronuncia la compensazione nei confronti del contribuente titolare del credito principale, provvedimenti che normalmente non sono di spettanza delle parti ma competono alla autorità giudiziaria. L’istituto della compensazione legale e giudiziale disciplinato dall’art.1243 cod.civ. opera al di fuori di ogni potere eccezionale di autotutela riconosciuto alla pubblica Amministrazione, poiché consente a qualunque soggetto (non esclusa l’Amministrazione finanziaria) chiamato in giudizio per il pagamento di un credito, di opporre a propria volta in compensazione l’esistenza di un proprio controcredito anch’esso certo, liquido ed esigibile, con la conseguenza che il giudice, verificata la sussistenza dei requisiti del controcredito opposto, dichiara l’estinzione (totale o parziale) del credito principale per compensazione legale (in tal senso Sez. U. n.23225 del 2016). D’altra parte risulterebbe palesemente contrario alla ratio della norma ritenere che l’attribuzione alla Amministrazione finanziaria di poteri autoritativi di sospensione del pagamento del credito e di pronuncia unilaterale della compensazione, debba comportare, per l’Amministrazione finanziaria che intenda agire solo sul piano privatistico, la privazione della facoltà , riconosciuta in via generale dall’art.1243 cod.civ., di opporre in compensazione, al contribuente che agisce in giudizio per il pagamento di un credito, l’esistenza di un proprio controcredito altrettanto certo, liquido ed esigibile. Deve pertanto affermarsi il seguente principio di diritto: qualora il contribuente agisca in giudizio per ottenere il rimborso di un proprio credito di imposta, l’Amministrazione finanziaria, ferma restando la facoltà di esercitare discrezionalmente i poteri autoritativi di sospensione del pagamento delle somme pretese dal creditore e di pronuncia di compensazione nel caso sia a propria volta titolare di controcrediti tributari nei confronti del contribuente, è comunque legittimata, nel corso del giudizio instaurato dal contribuente creditore, ad opporre in compensazione ai sensi dell’art.1243 cod.civ., i propri crediti certi, liquidi ed esigibili, spettando conseguentemente al giudice la verifica della ricorrenza dei requisiti richiesti per la pronuncia della compensazione legale”.

Corte di Cassazione – Ordinanza 7 agosto 2019, n. 21082

Sul ricorso 10202-2015 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA, CASSA DI RISPARMIO DEL VENETO SPA, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CRESCENZIO 2, presso lo studio dell’avvocato GUGLIELMO FRANSONI, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCESCO PADOVANI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 310/2015 della COMM.TRIB.REG. di VENEZIA, depositata il 05/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/04/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE LOCATELLI;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. UMBERTO DE AUGUSTINIS che ha chiesto il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

In sede di presentazione della dichiarazione dei redditi Modello Unico 2010, per l’anno di imposta 2009, la società F. S. srl chiedeva il rimborso della somma di euro 1.300.000 relativa ad un credito di imposta Ires risultante dalla dichiarazione Modello Unico 2003 e riportato di anno in anno, sino a quando la società ne chiedeva la restituzione.

Con atto pubblico del 27.11.2011 la società F. S. cedeva il credito di imposta chiesto in restituzione alla Banca Antonveneta e alla Cassa di Risparmio del Veneto.

In data 30.11.2012 le banche cessionarie presentavano istanza di rimborso del credito acquistato. A seguito del silenzio-rifiuto della Agenzia delle Entrate, la Banca Antonveneta proponeva ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Padova; in corso di causa, con atto del 23.4.2013, Banca Antonveneta veniva fusa mediante incorporazione nella Banca Monte dei Paschi di Siena che subentrava nel giudizio; la Commissione tributaria provinciale di Padova con sentenza n. 94 del 2013 accoglieva il ricorso, condannando l’Amministrazione finanziaria al rimborso della somma richiesta in restituzione.

L’Agenzia delle Entrate proponeva appello, rigettato dalla Commissione tributaria regionale del Veneto con sentenza n. 310 del 5.2.2015.

Contro la sentenza di appello l’Agenzia delle Entrate propone tre motivi di ricorso per cassazione.

L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.Con il primo motivo si deduce: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 42 bis DPR 602/73, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod.proc.civ.”, nella parte in cui la C.T.R. ha ritenuto l’applicabilità delle disposizioni sulla esecuzione dei rimborsi contenute nell’art. 42 bis del DPR 602 del 1973, in luogo di quelle previste dall’art. 75 della legge 342/2000 integrate dal decreto ministeriale di attuazione 29.12.2000.

Il motivo è inammissibile perché introduce una questione estranea alla ratio decidendi propria nella sentenza impugnata. Il giudice di appello, che ha richiamato entrambe le disposizioni relative ai rimborsi automatizzati, ha rigettato l’appello della Agenzia delle Entrate per la ragione sostanziale che l’esistenza del credito chiesto a rimborso era certa e riconosciuta dallo stesso Ufficio, il quale invece non aveva fornito prove sufficienti dell’esistenza di un controcredito da opporre in compensazione al contribuente.

2.Con il secondo motivo si deduce: “Violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 11 e 12 del DPR 602/73 ai sensi dell’art. 360 n.3 cod.proc.civ.”, nella parte in cui la C.T.R. ha rigettato l’eccezione dell’Ufficio circa la esistenza di crediti dell’amministrazione finanziaria, da opporre in compensazione al credito vantato dalla contribuente, sul rilievo che “i ruoli evidenziati costituiscono mero atto interno non capace di paralizzare la richiesta del contribuente stesso”.

3.Con il terzo motivo si deduce: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 115 cod.proc.civ. ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod.proc.civ.”, nella parte in cui la C.T.R. ha dato rilievo alla esistenza di una autorizzazione al rimborso emessa dalla stessa Agenzia delle Entrate, senza considerare che il provvedimento autorizzatorio prevedeva espressamente che, prima di effettuare il rimborso, occorreva operare la compensazione con gli importi che risultavano iscritti a ruolo a titolo definitivo a carico del contribuente, ovvero disporre la sospensione del rimborso in ragione di eventuali future iscrizioni a ruolo a seguito della definizione di controversie in corso con Banca Monte dei Paschi in senso favorevole alla Amministrazione finanziaria. Il secondo ed il terzo motivo, da esaminare congiuntamente, sono fondati nei seguenti termini.

3.1.Non è contestato dalle parti, e risulta dal testo della sentenza impugnata, che l’Amministrazione finanziaria vantava crediti erariali, iscritti a ruolo a titolo definitivo, sia nei confronti delle banche incorporate Cassa di Risparmio (euro 9.980) e Banca Antonveneta (euro 6.782) che nei confronti della incorporante Banca del Monte dei Paschi (euro 618.779), oltre a crediti non ancora definitivi relativi a controversie in corso.

La motivazione del giudice di primo grado, che rigetta l’eccezione di compensazione dei crediti formulata dalla Agenzia delle Entrate sull’assunto che “i ruoli evidenziati costituiscono mero atto interno non capace di paralizzare la richiesta del contribuente stesso” non è giuridicamente corretta.

A norma degli art. 1, 12 e 49 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 l’iscrizione a ruolo definitivo attesta la titolarità da parte dell’Amministrazione finanziaria di un credito liquido ed esigibile nei confronti del contribuente e costituisce titolo esecutivo legittimante la riscossione della somma iscritta ruolo anche mediante esecuzione forzata. 3.2.Non è fondata la tesi esposta dalla controricorrente secondo cui l’Amministrazione finanziaria, al fine di poter opporre in compensazione il proprio credito nel corso del giudizio per il rimborso del credito di imposta promosso dal contribuente, doveva emettere un autonomo provvedimento di sospensione a norma dell’art. 23 d.lgs. 18 dicembre 1997 n. 472. Tale norma – come evidenziato dalla sedes materiae – riguardava originariamente la facoltà della Amministrazione di disporre la sospensione del pagamento o la compensazione dei crediti vantati dal contribuente nei confronti della Amministrazione finanziaria qualora essa a propria volta vantasse ragioni creditorie derivanti specificamente dalla irrogazione di sanzioni tributarie, le quali, se prive del carattere della definitività, legittimavano la sospensione provvisoria del pagamento del credito del contribuente; se contenute in provvedimenti divenuti definitivi, legittimavano l’Ufficio alla pronuncia della compensazione. A seguito delle modifiche all’art. 23 comma 1 del d.lgs. n. 472 del 1997, introdotte dall’art. dall’art. 16 comma 1 lett. h) d.lgs. n. 158 del 2015 (aventi efficacia a decorrere dal 1 gennaio 2016), la facoltà della Amministrazione finanziaria di disporre con appositi provvedimenti la sospensione o la compensazione dei crediti vantati dal contribuente in presenza di propri controcrediti derivanti dall’obbligo di pagamento delle sanzioni, è stato esteso negli stessi termini all’ipotesi in cui la Amministrazione finanziaria sia titolare di controcrediti derivanti da maggiori tributi dovuti (in via non definitiva o definitiva) dal contribuente che fa valere il credito di imposta. In riferimento all’istituto del “fermo di pagamento” previsto dall’art. 69 ult. comma regio decreto 18.11.1923 n. 2440 che consente ad un’Amministrazione dello Stato, che abbia ragioni di credito verso soggetti aventi diritto a somme di denaro dovute da altre Amministrazioni, di richiedere ed ottenere la sospensione del pagamento spettante al creditore della pubblica Amministrazione, questa Corte ha precisato che “si tratta di uno strumento eccezionalmente attribuito all’amministrazione obbligata, atto a differire in via provvisoria il soddisfacimento di un credito liquido ed esigibile, comportante l’affievolimento sia pure temporaneo del diritto di credito del privato.

Da tali caratteristiche dell’istituto discende che il “fermo”, cioè la sospensione del pagamento delle somme dovute dall’Amministrazione non può prescindere dalla adozione di un provvedimento formale, emesso nell’esercizio di un potere discrezionale dall’autorità competente e dotato dei requisiti prescritti dalla legge” (pag.4 Sez.5 n.23601 del 2011). Allo stesso modo i poteri di sospensione del pagamento e di compensazione del credito, previsti dall’art.23 del d.lgs. n.472 del 1997, sono finalizzati ad una tutela rafforzata del credito erariale, consentendo alla Amministrazione finanziaria di adottare discrezionalmente provvedimenti autoritativi (comunque soggetti ad impugnazione e controllo giurisdizionale) con i quali l’ente impositore dispone unilateralmente la sospensione del pagamento o pronuncia la compensazione nei confronti del contribuente titolare del credito principale, provvedimenti che normalmente non sono di spettanza delle parti ma competono alla autorità giudiziaria. L’istituto della compensazione legale e giudiziale disciplinato dall’art.1243 cod.civ. opera al di fuori di ogni potere eccezionale di autotutela riconosciuto alla pubblica Amministrazione, poiché consente a qualunque soggetto (non esclusa l’Amministrazione finanziaria) chiamato in giudizio per il pagamento di un credito, di opporre a propria volta in compensazione l’esistenza di un proprio controcredito anch’esso certo, liquido ed esigibile, con la conseguenza che il giudice, verificata la sussistenza dei requisiti del controcredito opposto, dichiara l’estinzione (totale o parziale) del credito principale per compensazione legale (in tal senso Sez. U. n.23225 del 2016).

D’altra parte risulterebbe palesemente contrario alla ratio della norma ritenere che l’attribuzione alla Amministrazione finanziaria di poteri autoritativi di sospensione del pagamento del credito e di pronuncia unilaterale della compensazione, debba comportare, per l’Amministrazione finanziaria che intenda agire solo sul piano privatistico, la privazione della facoltà , riconosciuta in via generale dall’art.1243 cod.civ., di opporre in compensazione, al contribuente che agisce in giudizio per il pagamento di un credito, l’esistenza di un proprio controcredito altrettanto certo, liquido ed esigibile. Deve pertanto affermarsi il seguente principio di diritto: qualora il contribuente agisca in giudizio per ottenere il rimborso di un proprio credito di imposta, l’Amministrazione finanziaria, ferma restando la facoltà di esercitare discrezionalmente i poteri autoritativi di sospensione del pagamento delle somme pretese dal creditore e di pronuncia di compensazione nel caso sia a propria volta titolare di controcrediti tributari nei confronti del contribuente, è comunque legittimata, nel corso del giudizio instaurato dal contribuente creditore, ad opporre in compensazione ai sensi dell’art.1243 cod.civ., i propri crediti certi, liquidi ed esigibili, spettando conseguentemente al giudice la verifica della ricorrenza dei requisiti richiesti per la pronuncia della compensazione legale.

In accoglimento del secondo e terzo motivo di ricorso la sentenza deve essere annullata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Veneto in diversa composizione perché proceda a nuovo giudizio conformandosi al principio di diritto enunciato.

Alla stessa C.T.R. è demandata la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il primo motivo, accoglie il secondo ed il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale del Veneto in diversa composizione.

Così deciso 10.4.2019.

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