CASSAZIONE FISCALITA

IRAP e autonoma organizzazione

Tributi – IRAP – Professionisti – Medico di base – Accertamento – Autonoma organizzazione – Presupposti

La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 18300 dell’8 luglio 2019è nuovamente intervenuta sul requisito dell’autonoma organizzazione, previsto dall’art. 2 del D.lgs. 446/1997 quale presupposto dell’IRAP, per affermare che incombe al professionista, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte in materia, l’onere di provare l’insussistenza dell’autonoma organizzazione quale presupposto impositivo del tributo in oggetto.

Ricordiamo che sulla questione dell’autonoma organizzazione negli ultimi anni non solo si sono date battaglia le Commissioni Tributarie di quasi tutta Italia, ma si sono alternati due opposti orientamenti all’interno della stessa V Sezione Civile (Tributaria) della Corte di Cassazione. In particolar modo a partire dal 2013, l’alternanza tra pronunce di senso opposto  ha reso veramente problematico per gli operatori del settore valutare l’opportunità di promuovere o meno il ricorso per conto del contribuente.

Nella sentenza n. 9451/20156 le Sezioni Unite hanno enunciato, però, un basilare principio di diritto, che viene anche riportato nella pronuncia odierna e che sommariamente riportiamo: “Con riguardo al presupposto dell’IRAP, il requisito dell’autonoma organizzazione – previsto dall’art. 2 del d.lgs. 15 settembre 1997, n. 446, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente; a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive”.

Le Sezioni Unite hanno tracciato infatti l’iter logico partendo dall’analisi di una precedente sentenza, la n. 3676/2007, evidenziando come la stessa fosse espressione dell’orientamento più risalente e più radicato secondo cui la presenza anche  di un solo dipendente, anche se part-time ovvero addetto a mansioni generiche, determinerebbe di per sé l’assoggettamento all’imposta, mettendola a confronto con l’orientamento più recente secondo il quale invece è necessario accertare “in punto di fatto l’attitudine del lavoro svolto dal dipendente a potenziare l’attività produttiva al fine di verificare la ricorrenza del presupposto stesso”.

In buona sostanza l’oggetto della citata sentenza del 2007 era stato quello di definire l’ambito di operatività del D.lgs. 446/1997 alla luce della pronuncia della Corte Costituzionale n. 156/2001, affermando che il presupposto  del tributo è costituito dall’esercizio di un’attività autonomamente organizzata, “diretta alla produzione o allo scambio di beni o servizi e che dunque sono riguardati dall’imposizione anche le persone fisiche e le società semplici (od equiparate) che esercitano un’arte o una professione ai sensi dell’ art. 49, comma 1 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 da intendersi come tutti coloro che, per professione abituale, svolgevano un’attività di lavoro autonomo non classificabile come impresa o come collaborazione coordinata o continuativa e, cioè, come prestazione di servizi senza impiego  di organizzazione propria”.

La stessa pronuncia aveva chiarito la portata della citata sentenza della Corte Costituzionale che aveva puntualizzato che se il reddito d’impresa era sempre soggetto a IRAP, quello dei lavoratori autonomi era assoggettabile all’imposta solo in caso di presenza di un’organizzazione autonoma.

La maggiore o minore consistenza di tale insieme non è dunque importante purché, ben s’intende, si tratti di fattori che non siano tutto sommato trascurabili, bensì capaci di fornire un effettivo qualcosa in più al lavoratore autonomo.

Per far sorgere l’obbligo di pagamento del tributo basta, infatti, l’esistenza di un apparato che non sia sostanzialmente ininfluente, ovverosia di un quid pluris che secondo il comune sentire sia in grado di fornire un apprezzabile apporto al professionista.

Si deve cioè trattare di un valore aggiunto la cui disponibilità non sia, in definitiva, irrilevante perché capace, come lo studio o i collaboratori, di rendere più efficace o produttiva l’attività.

Sono tuttavia necessarie, sempre a parere delle Sezioni Unite, intervenendo poi con sentenza n. 9451/2016, alcune precisazioni concernenti il fattore lavoro, affermando che se fra “gli elementi suscettibili di combinarsi con il lavoro dell’interessato, potenziandone le possibilità necessarie, accanto ai beni strumentali vi sono i mezzi ‘personali’ di cui egli può avvalersi per lo svolgimento dell’attività, perché questi davvero rechino ad essa un apporto significativo occorre che le mansioni svolte dal collaboratore non occasionale concorrano o si combinino con quel che è il proprium della specifica (professionalità espressa nella) attività diretta allo scambio di beni o di servizi”, di cui fa discorso l’art. 2, D.Lgs. n. 446/1997 e ciò vale tanto per il professionista che per l’esercente l’arte e come, più in generale, per il lavoratore autonomo ovvero per le figure “di confine” individuate nel corso degli anni dalla giurisprudenza della Cassazione.

Diversa incidenza assume, perciò, l’avvalersi in modo non occasionale di lavoro altrui quando questo si concreti nell’espletamento di mansioni di segreteria o generiche o meramente esecutive, che rechino all’attività svolta dal contribuente un apporto del tutto mediato o, appunto, generico. Lo stesso limite segnato in relazione ai beni strumentali  “eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minino indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione”, non può che valere, armonicamente, per il fattore lavoro, la cui soglia minimale si arresta all’impiego di un collaboratore. È infatti in tali casi che può parlarsi di “valore aggiunto” ovvero di “quel qualcosa in più” individuato dalle pronunce del filone più risalente

La sentenza in commento si pone quindi  in linea con quanto testé affermato dalle Sezioni Unite che, come avvertono gli Ermellini: “Le Sezioni Unite di questa Corte (cfr. Cass. 10 maggio 2016, n. 9451, cui si è uniformata la successiva giurisprudenza), componendo il contrasto emerso nell’ambito della sezione tributaria, nella risoluzione di questione di massima di particolare importanza, hanno affermato il principio che il requisito dell’autonoma organizzazione di cui all’art. 2 del d. lgs. n. 446/1997, quale presupposto impositivo dell’Irap, ricorre quando il contribuente:

 «a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse;

 b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segretaria ovvero meramente esecutive».

L’avere la sentenza impugnata totalmente omesso l’esame delle mansioni svolte dal personale dipendente, se meramente esecutive o di segretaria e le concrete modalità d’impiego – potendosi ritenere che, per l’anno in cui il professionista si è avvalso della prestazione lavorativa di due unità, ove assunte entrambe con contratto part – time, l’attività di collaborazione delle stesse possa essere equiparata alla collaborazione di un’unità lavorativa a tempo pieno (cfr. anche, più di recente, Cass. sez. 6-5, ord. 10 gennaio 2017, n. 383) – concretizza, dunque, il vizio denunciato dall’Amministrazione ricorrente, alla stregua del principio di diritto sopra enunciato, anche in considerazione del fatto che incombe al professionista, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte in materia, l’onere di provare l’insussistenza dell’autonoma organizzazione quale presupposto impositivo del tributo in oggetto (tra le molte cfr. Cass. sez. 5, 28 novembre 2014, 25311; Cass. sez. 6-5, ord. 5 settembre 2014, n. 18749)”.

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